Imprevisti e sogni [Racconto]


Non avrei permesso ai miei sogni di scivolare tra le dita come sabbia finissima. Avrei lottato.
   Mi tolsi gli occhiali e massaggiai il naso indolenzito da quel contatto.
   «Dottor Ctesia!» gracchiò dall’interfono una vocina acuta «Dottore, credo ci siano dei problemi.»
   «Merda!» Ero solo nel mio alloggio, ma mi trattenni dal rincarare la dose.
   Fissai per qualche istante la foto di Maika sul monitor. Undici mesi e ventuno giorni che se n’era andata. Trattenni le lacrime e mi sforzai di resistere, di non essere patetico. Un uomo non dovrebbe mai piangere, è un segno di debolezza. Chiusi il portatile e mi alzai. Mi avvicinai al piccolo interfono sulla parete e sfiorai il pulsante sullo schermo.
   «Jora, cosa succede?»
   «Credo… ecco» fece una pausa. Dall’altra parte sentii una voce femminile che sussurrava un “Avanti Jora, devi dirglielo”. La linea era disturbata, ma riuscii ugualmente a cogliere quelle poche parole.
   «Jora, mi vuoi dire cosa sta succedendo?» cercai di non far trapelare il disappunto.
   «Dottore, ci sono problemi con il numero due. In realtà sono semplici variazioni nei parametri di compensazione del flusso nella cella di beccheggio.» si schiarì la voce, lo faceva sempre prima di partire con uno dei suoi discorsi seri. «Personalmente le ritengo normali fluttuazioni dovute all’aumento di potenza, ma Tiana dice di aver rilevato deformazioni dello spettro di energia sospette nell’ultima ora.»
   «Sono sicuro che non è nulla, è troppo presto perché accada. Non siamo ancora a così elevati livelli di sangue.»
   Fissai il muro, quelle piccole microimperfezioni nella parete d’acciaio lucida e levigata; venature, piccolissime sbavature del metallo. Microimperfezioni, solo questo, nient’altro.
   «Arrivo.» aggiunsi. Spensi l’interfono e uscii.

*

La porta stagna del laboratorio scivolò di lato nel suo moto lento e noioso, rientrando a scomparsa nella parete.
   «Jora, Tiana.» richiamai la loro attenzione «Cosa sta succedendo? Fatemi un rapporto dettagliato.»
   Jora era seduta dietro il lungo bancone dei monitor di analisi molecolari «Dottore, le variazioni nelle emissioni sono alterate di tre punti, ma nella norma. Il flusso ematico è stabile.»
   «Sono convinta,» intervenne Tiana lanciando uno sguardo traverso da sopra gli occhiali alla collega «che ci sia qualcosa che non va. Nell’ultima ora gli sbalzi nello spettro sono stati significativi. Per varie volte gli strumenti sono impazziti». Da dietro la sua postazione mi guardò con il viso contratto dal dubbio. «J, questa storia non mi piace. Sono d’accordo con te: spingiamo sull’acceleratore con gli esperimenti visti i tempi stretti. Sappiamo entrambi che a giorni la commissione ci toglierà i fondi se non portiamo loro qualcosa di concreto però…»
   «Tiana, dobbiamo farlo. Dobbiamo perlomeno provarci.»
   Non ero molto convinto nemmeno io della fretta con cui stavamo portando avanti il progetto Homunculus, ma da qualche parte dovevamo pur sbattere la testa. Era mio compito prendere in mano la situazione e calmare tutti. «Sono certo che non ci saranno anomalie nei test, non preoccuparti. Entro fine settimana avremo un report esaustivo per quelli dell’HIRC e tutto si risolverà. Ora: esamina i flussi energetici, pianifica l’ultimo aumento del carico ematico e inviami la relazione.» Non sembrava molto convinta. Contrasse il lato destro della bocca in una virgola critica e abbassò lo sguardo sulle strumentazioni. «Jora,» continuai «stampami un resoconto dei picchi di particelle e mandamelo.»
   «Subito Dottore.»
   Perfetto, tutto sotto controllo. Mi guardai intorno; mancava qualcosa nel laboratorio.
   «Che diavolo di fine ha fatto Romio?» chiesi alla dottoressa Tiana. Le due donne si scambiarono un fugace sguardo d’intesa.
   «È uscito a fumare J,» mi rispose Tiana con un sorrisetto ironico stampato in faccia «lo sai com’è fatto quel ragazzo. È un fottuto pozzo di talento, ma ha i suoi vizi.»
   Mi montò la rabbia «Giuro che se è ancora la solita storia…»
   Jora intervenne da dietro la sua postazione «Vuole che vada a chiamarlo Dottore?»
   «No, non ti preoccupare. Non c’è fretta.» Pregustai il dolce sapore del rimprovero.
   Mi avvicinai alla parete in fondo alla stanza dove erano installate le tre celle di beccheggio. Ricordavano enormi ampolle inclinate, riempite di un liquido giallognolo spento, quasi trasparente. Davano il vero tocco di occultismo al laboratorio; guardarle era come trovarsi nella bottega di un alchimista a fantasticare su improbabili esperimenti.
   La prima cella era vuota: esperimento uno, andato storto. Archiviato. La seconda e la terza invece erano colme di liquido e attive. Filamenti di fibre ottiche e micro vene artificiali pulsavano illuminate di colori cremisi e smeraldo. Scendendo dall’alto tessevano un groviglio attorno ad un bozzolo centrale sospeso contro la forza di gravità al centro della cella.
   Mi piaceva osservare le mie creazioni, piccoli homunculus creati artificialmente: quanto potere nelle mani di un solo uomo. A volte mi spaventava l’idea di avere il potere decidere la vita e la morte di un altro essere. Come un dio! Orribile e inebriante al tempo stesso.
   Poggiai la mano sul vetro lucido della cella e sentii un calore felpato salirmi lungo la mano: l’acqua di stasi era tenuta costantemente a 37° centigradi per agevolare le funzioni endogene di termoregolazione.
   «Dottore, le sto inviando i dati e sembra tutto…» Jora non riuscì a completare la frase. Una potente scossa fece tremare la stanza. I grossi scaffali metallici delle strumentazioni oscillarono impotenti e cozzarono tra loro con un fracasso metallico, come schiaffeggiati da mani invisibili.
   Cercai appiglio in tutto quel caos reggendomi come potevo alla scrivania che c’era lì vicino. La scossa continuava; tutto era annebbiato, fremente e la vista mi si confondeva, come nel bel mezzo della discesa più ripida delle montagne russe. Il laboratorio era tutto un tintinnio di vetri con fogli che svolazzavano, oggetti che si rovesciavano e cadevano a terra. Le luci si spensero e le lampade di emergenza entrarono in funzione illuminando la stanza con la loro freddezza da obitorio. In quella confusione non mi ero accorto che Tiana stesse strillando con tutto il fiato che aveva in corpo. Si fermò solo quando le scosse smisero di sbatacchiare il pavimento sotto i nostri piedi e la stanza riprese il suo posto all’interno della realtà.
   «Jora, Tiana, tutto bene?» mi accertai.
   «Sì,» rispose con la voce tremolante Jora «tutto bene. Credo.»
   Mi avvicinai alla postazione di Tiana, che non aveva risposto e non era più seduta al suo posto. Due piedi sbucavano da sotto la scrivania, mi sporsi e vidi che era stesa a terra. Sgusciai rapido oltre il tavolo e mi chinai su di lei. Mi sembrava svenuta e tastando il polso controllai il battito cardiaco: regolare, respirava ancora.
   La porta del laboratorio si aprì accompagnata dagli sbuffi della decompressione. Mi girai e vidi Romio che entrava. Era piuttosto sciupato, ma chi può dire se fosse per la forte scossa o per altro. Era sempre stato un tipo strano, vestito in modo trascurato.
   «Bentornato tra noi ragazzo, era ora che ci degnassi della tua presenza! Se hai finito di fare i tuoi comodi, come avrai potuto notare c’è stata una scossa di terremoto.» Lo guardai in volto per capire se era con noi o nel suo piccolo mondo della fantasia. «Vai a controllare cosa sta succedendo fuori e recupera un medico. Tiana dovrebbe solo aver perso conoscenza, ma preferisco venga visitata.»
   Romio se ne stava lì impalato a fissarmi come se non avessi aperto bocca.
   «Romio?! Cazzo, sei con noi?»
   «Sì, sì, scusi Dottore. Il fatto è che…» lasciò la frase a mezz’aria. Quel ragazzo abitava in un mondo tutto suo e il vero problema era che a volte ci si perdeva.
   «Cosa?»
   «Lei ha parlato di terremoto.» pronunciò la parola scandendola come se non ne capisse il significato.
   «Sì, diamine! C’è stata una scossa. Ora, per piacere, puoi andare a…»
   «Io ero fuori a fumare e non ho sentito nessuna scossa dottore.»
   La rabbia cominciava a montarmi dentro.
   «Ti stavi facendo della solita merda vero?» gli sbraitai in faccia. Impossibile, ancora a fumare erba in orario lavorativo? Stavolta non avrei sorvolato, ero arcistufo del suo comportamento, genio o non genio che fosse. «Quante volte ti ho detto di non fumare erba mentre stai qui?»
   «Ma…» fece per replicare lui. Fu interrotto dal rumore assordante della sirena d’allarme che strillò nel silenzio cogliendoci tutti di sorpresa.
   «Jora,» dovetti urlare per sovrastare il tremendo ululato «aiutami con la dottoressa. Romio tu fa quello che ti ho detto. Ora!»
   Romio uscì come una scheggia e Jora si avvicinò. Sistemammo la poveretta in una posizione più comoda alzandole le gambe sopra la sedia per farla riprendere. Un taglio sulla fronte indicava che aveva battuto la testa contro qualcosa.
   Eravamo ancora chinati a terra quando le luci iniziarono a sfrigolare come se stessero friggendo. Le strumentazioni lanciarono i loro richiami tutte insieme segnalando delle anomalie. La porta del laboratorio si aprì lasciando entrare Romio a capo di una piccola delegazione: un uomo basso in camice bianco accompagnato da tre uomini armati.
   «Cosa diavolo succede qui?» latrò uno dei militari sopra il rumore pressante della sirena. Doveva essere quello con i gradi più alti. La sua figura era statuaria, ma elegante mentre ispezionava il laboratorio con lo sguardo.
   Feci per rispondergli, ma un altro sussulto mise a soqquadro la realtà. Un boato sommesso lacerò l’aria accompagnato dal rumore di vetri rotti. Ero carponi sul pavimento e cercai di mantenere l’equilibrio. I sussulti cessarono. Mi girai verso gruppetto appena entrato e rimasi interdetto: erano tutti sconvolti dalla scossa, ma Romio fissava sgomento un punto oltre la scrivania dove non riuscivo a vedere, in direzione delle celle di beccheggio. Sapevo o forse intuivo soltanto. Lo stomaco mi si contrasse in uno spasmo. Non volevo alzarmi per vedere, ero combattuto, ma dovevo farlo.
   Presi un po’ di coraggio e, quando mi rimisi in piedi, quasi piansi tra paura e felicità. Era lì, davanti a me, non potevo crederci. Proprio davanti ai miei occhi si ergeva quello che i miei predecessori avevano tentato invano di avere. Ricerche, anni e anni di studio e ora…
   Di fronte al vetro rotto della cella c’era una manticora. Una chimera bellissima, proprio come descritta nei testi antichi: un imponente corpo da leone con una sproporzionata testa umana. Dietro alla creatura oscillava in un andirivieni serpentesco una coda nera, zeppa di aculei. L’essere aprì la bocca denudando tre fitte file di denti e ruggendo in un grottesco verso.
   «Fuori di qui.» urlò il militare.
   «È… È magnifica» fu invece tutto quello che seppi dire io. Afferrai saldamente con gli occhi quella leggendaria creatura mentre gli altri fuggivano «Semplicemente magnifica…»

*

Dal “Foglietto di Val Tura”

Si aggrava il bilancio dell’incidente ai laboratori HIRC. Squadre di recupero all’opera. Recuperato dalle macerie il corpo dell’ultimo disperso: è un altro dipendente ucciso dal collasso della struttura. “Nessun terremoto” confermano i sismologi. Prime misure d’urgenza attuate dal governo per mettere in sicurezza l’area.

16 aprile 2012, Passo del Chiavello – Non sono ancora chiare le cause del tremendo disastro di questa notte avvenuto nei laboratori dello Human Improvement Research Center. Secondo le dichiarazioni del sottosergente I.A. Galdino, miracolosamente sopravvissuto alla catastrofe, le cause potrebbero essere ricondotte a un terremoto. Nelle ultime ore però il Centro Nazionale di Monitoraggio Sismico ha assicurato la totale assenza di eventi tellurici nella zona, eliminando di fatto il sisma dalle possibili cause. In mattinata i pompieri e le squadre di soccorso che collaborano, hanno estratto il cadavere dell’ultimo dipendente disperso facendo salire a 37 il numero delle vittime. Tra queste c’è anche il nome dell’illustre dottor J.P. Ctesia, luminare ampiamente conosciuto nel mondo scientifico per le sue idee progressiste. [continua a pag. 3]