Perché si scrive?

“Perché si scrive?” è una domanda complicata e il più delle volte trascurata, ma può portare a galla innumerevoli ripercussioni.

Scrivere è, senza alcuna ombra di dubbio, una delle cose più belle che una persona possa esplorare così come tutte le esperienze ricollegabili alla creazione di un prodotto finito. Finché non si prova quella sensazione che pervade lo scrittore durante la stesura della propria opera non si può capire. Alcuni la paragonano all’emozione che si prova nel mettere al mondo e crescere un figlio, altri la descrivono come un viaggio dentro se stessi, per alcuni significa analizzare il proprio io e la realtà che li circonda mentre per altri è solo un pretesto per raccontare di sé. In ogni caso è essenziale sapere perché si scrive poiché questo fornisce una prospettiva differente sui nostri obbiettivi.
   Tutto questo psicanalizzarsi però può sembrare un poco inutile e anche superficiale dato che se si scrive lo si fa per una sola cosa: amore per la scrittura. Ma com’è possibile far sì che anche gli altri vedano quello che vediamo noi? Come possiamo trasmettere l’idea che abbiamo in testa in modo che chi legge riesca a percepirne tutti i dettagli?

«Scrivere bene è un lavoro duro» Snoopy
(Charles M. Schulz, Peanuts - Good Ol' Charlie Brown)
«Scrivere bene è un lavoro duro» Snoopy (Charles M. Schulz, Peanuts – Good Ol’ Charlie Brown)

La comunicazione

Dite a qualunque persona: “Sto scrivendo un romanzo/ racconto/ opera teatrale/ poesia” a vostra scelta e sarà inevitabile che prima o poi caschi nel banale facendo la fatidica domanda: “Perché?”.
   È inevitabile quanto spiazzante per un autore ritrovarsi fra le mani una patata bollente come quella. Se non vi siete mai posti questa domanda forse è bene che corriate ai ripari subito. Una volta chiarito con sé perché si scrive, farlo capire ad un estraneo può non risultare così semplice. O così completo. Scrivere vuol dire produrre un testo scritto ed essendo la scrittura la rappresentazione grafica della lingua tramite lettere o altri segni, ci si rifà alla lingua e quest’ultima non è altro che un sistema di comunicazione.
   Comunicare significa rendere comune, far conoscere qualcosa a qualcuno. Avviene una comunicazione quando un mittente trasmette un’informazione tramite un canale e mediante un codice, codificando opportunamente il messaggio per farlo giungere a un destinatario. Quindi la domanda è: che cos’è la scrittura?

La scrittura

Non si può confondere il significato ben preciso della scrittura (comunicare) con quello generalmente attribuitogli in maniera errata (esprimersi). Prendiamo la definizione di esprimersi dal dizionario “manifestare, esternare le proprie idee o i propri sentimenti” e uniamola al significato semantico della parola: “spremere fuori”. Scambiare i due termini sarebbe riduttivo perché l’esprimersi è lo scopo del messaggio, ma è la comunicazione che lo trasmette e il suo fine è far sì che arrivi a chi lo riceve, una volta decodificato, con la stessa rappresentazione che volevamo dargli. L’interpretazione del destinatario, nel nostro caso il lettore, è un arricchimento ed esula dalla capacità di creare arte, e cioè agire e di produrre, basandosi su un particolare complesso di regole e di esperienze conoscitive e tecniche.
   Quando Gianni mi chiede di dire a Luca che stasera si gioca a calcetto alle 21:00 e io lo dico a Luca — o lo scrivo a Luca — non sto esprimendo un bel niente, ma sto scrivendo. E non è forse una storia questa? Mettendola nero su bianco e contornandola con tutti i fatti relativi non ottengo un racconto? O un romanzo? O un’opera teatrale? Probabilmente no, ma perché? Questo è il vero punto. Abbiamo già visto la differenza tra storia e racconto e narrazione, ma che cosa significa scrivere?

Scrivere

Giorgio Calcagno, giornalista e redattore della Stampa, ci viene incontro spiegandoci come interpretare la domanda prendendola parola per parola (“Che cosa”, ”significa”, ”scrivere”) e traendone una risposta.

Giorgio Calcagno

«Scrivere è usare la penna, o la matita, o qualsiasi altro mezzo di registrazione verbale; si può arrivare alla Lettera 22, al telex, all’alfabeto Morse del telegramma; con minor sicurezza, alla presuntuosa labilità del computer. Tutti mezzi subordinati a un unico scopo: fissare sulla pagina parole che altrimenti andrebbero perse nell’aria, impressioni meno effimere, dati, ricordi, informazioni che si vogliono sottrarre alla provvisorietà del verba volant.»
(Giorgio Calcagno, Che cosa significa scrivere, Il Foglio)

Tutti questi strumenti servono per significare, etimologicamente “signum facit”, “fare segno”, cioè trasmettere pensieri, sentimenti, idee e simili, mediante il linguaggio, scritto o orale, o mediante cenni, gesti o simili.
   Ed è proprio all’inizio della domanda che troviamo la sua risposta.

«Il “che cosa”, il quid interrogativo, il quod senza interrogazione del nostro esemplare latino, riunito, nei due significati, dal what inglese; il complemento oggetto a cui approda ogni verbo del nostro vocabolario transitivo, il senso ultimo che deve sprigionare dal segno, perché ogni significante trovi il suo significato.
[…] Uno scrivere che non significhi, e non significhi che cosa, è un tradimento. C’è una responsabilità, da parte di chi scrive, che non gli permette di usare impunemente i segni, se non li collega alla ricerca dei sensi.
»

Scopo

L’azione di scrivere risulta per forza di cose legata a un certo significato e a un “che cosa”, quindi a uno scopo. Scrivere ed essere autori, per natura stessa del significato delle parole e delle domande che dobbiamo porci, include la ricerca di uno fine ultimo che dia significato alla propria creazione.
   Molte volte chi scrive libri lo fa soltanto perché non trova la forza di non farlo. Ormai tutti possono scrivere, il livello culturale si è alzato notevolmente, e continua ad aumentare, e ognuno può esprimere le proprie emozioni, idee, pensieri. Ma ricordiamoci che appunto l’esprimersi (exprimere) indica lo spremere, vuol dire fare uscire qualcosa e non per forza qualcosa di significativo o con uno scopo.
   La scrittura creativa in qualsiasi forma la si voglia trattare è ogni genere di scrittura che va al di là della normale scrittura professionale, giornalistica, accademica, tecnica e sta diventando un fenomeno di costume perdendo di vista l’obbiettivo.
   Anche Antonio Tabucchi interviene sull’argomento e, nonostante questo pensiero richieda un’analisi più approfondita, ricordando a tutti che è importante sapere dove rivolgere la propria attenzione.

Antonio Tabucchi

«Essere scrittore non vuol dire solo maneggiare le parole. Significa soprattutto stare attenti alla realtà circostante, alle persone, agli altri.»
(Antonio Tabucchi, corrispondenza con Paolo Di Paolo)

Per chi si scrive

Serve quindi sempre tener conto di cosa si vuole comunicare, di come si vuole farlo, dell’obbiettivo del nostro scrivere e del pubblico a cui ci rivolgiamo. Se scriviamo per noi stessi saremo noi stessi il nostro pubblico. Se scriviamo per gli altri e per essere letti è innegabile l’importanza di sapere come trasmettere l’idea che ci figuriamo in testa. Perché non ci si deve mai dimenticare che uno degli scopi per cui si scrive è anche perché qualcuno ci legga. Non sempre, ma il più delle volte sì. Per fare in modo che il lettore interpreti al meglio il messaggio esistono suggerimenti e tecniche che permettono di riuscire a mettere su carta le nostre emozioni e trasmetterle al lettore.
   Concludiamo con un breve estratto dall’Ars poetica di Orazio (di cui presento una traduzione libera), testo antico ma sempre attuale:

L’Epistola ai Pisoni (Epistula ad Pisones, in latino), detta anche Ars Poetica

«[…]l’opera è mediocre perché non sa rappresentare il tutto.[…] Se mai decidete di scrivere, scegliete un argomento che si adatti alle vostre forze; verificate a lungo quanto ricusino e quanto sopportino le vostre spalle. Ma se la scelta del soggetto vi appartiene, non mancheranno eleganza e limpidezza di armonia. Se non m’inganno, l’armonia ha questo merito, questa bellezza, che l’autore dell’opera in lavorazione, mentre accoglie questo o rifiuta quello, dica ora ciò che ora si deve dire e tralasci o rimandi il resto a tempo debito. E anche per la finezza e la prudenza nel legare fra loro le parole, il tuo linguaggio sarà unico, se un accostamento inconsueto farà di una parola conosciuta una parola nuova.[…] Se non conosco le leggi dell’arte e non so usare i toni che le convengono, come è possibile proclamarmi poeta?»
(Orazio, Ars Poetica)

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