I Tormentati [Racconto]

I Tormentati [Autori Vari] è un collettivo impegnato nella ricerca letteraria, basata sulla condivisione, l’apprendimento e la crescita comune. Questo racconto nasce dall’idea di sperimentazione di un racconto a più mani per esprimere in libertà ciò che ognuno avrebbe voluto apportare alla causa, senza limite se non quello del numero di battute.

I Tormentati

I TORMENTATI

Si erano dati appuntamento davanti all’edicola di via Ammaniti.
Era il luogo di ritrovo abituale da quindici anni a questa parte, anche se la loro amicizia era iniziata diversi anni prima, sui banchi della scuola media Andrea Camilleri.
L’orario stabilito era alle dieci e tutti e tre erano insolitamente puntuali.
Insolitamente, perché quello era il gran giorno e nessuno di loro voleva essere in ritardo né in anticipo: era una circostanza speciale che dovevano affrontare tutti insieme fin dall’inizio.
Questi quarantenni erano conosciuti come i Tormentati, per via delle loro vite tutt’altro che tranquille.

Gianni Sari, soprannominato il Piccolo per via del suo metro e novanta per centoquindici chili; figlio d’arte, il padre sassofonista gli aveva trasmesso la passione per quello strumento dal suono sensuale e di conseguenza per la musica, amava il jazz e il funky, ma non disdegnava altri generi. Aveva suonato con i più grandi musicisti europei, ma non era riuscito ad affermarsi sulla scena internazionale, nonostante avesse le carte in regola. Amava il basket, che aveva praticato fino alla maturità, e che continuava a seguire in televisione.
L’espressione costantemente imbronciata, contrastava nettamente con la sua bontà d’animo, cosa per cui era benvoluto nel quartiere, oltre che per i suoi virtuosismi davanti allo spartito. Sposato con Dorotea, avvocatessa penalista di successo e padre di due gemelli di cinque anni: Charlie e Stan.

Fabio Lancini, detto Chiodo, per via del suo fisico magro, quasi scheletrico. Da giovane era una promessa nel salto in alto, ma aveva deciso di abbandonare lo sport agonistico un giorno di tanti anni fa, quando aveva accompagnato un amico alle prove di uno spettacolo teatrale. Non appena mise piede in quel teatro, venne a contatto con un’atmosfera gioiosa, sentì le farfalle nello stomaco e decise di imparare a recitare. Il talento affiorò in maniera tempestosa e grazie alla sua perseveranza, alla sua pignoleria e alla pazienza di bravi insegnanti di recitazione, Chiodo era diventato un bravo attore.
Aveva calcato i palchi di mezza Europa ed era scritturato dalle migliori compagnie, ma suo malgrado non era mai riuscito ad avere delle parti da protagonista, al massimo si era dovuto accontentare di qualche ruolo da comprimario. Separato e padre di Ginevra, inquieta sedicenne.

Enzo Gola, detto Idolo, leader indiscusso del trio. Giornalista, si era sempre occupato di cronaca nera, anche se la sua passione per il cinema lo aveva saltuariamente impegnato come critico cinematografico. Arrivava sempre prima di tutti sulla scena del crimine o sul luogo dove poco prima c’erano stati dei disordini. Era velocissimo nello scrivere un articolo, ma nonostante ciò, non era mai riuscito a fare carriera nei giornali dove aveva lavorato a causa della sua schiettezza che gli aveva spesso causato problemi con i suoi responsabili. Ma anche perché aveva sempre avuto a che fare con colleghi più furbi che gli avevano scippato le inchieste migliori, grazie alle quali avrebbe potuto mettersi in luce.
Buona forchetta, cosa che gli dava perennemente problemi di peso, era il punto di riferimento del suo gruppo di amici, era lui che aveva le idee migliori; il suo senso pratico gli aveva permesso di risolvere certe situazioni intricate in cui era rimasto intrappolato insieme ai suoi compari. Scapolo, non si era mai sposato, qualche amore, nessuno di loro importante.

Eccoli lì i Tormentati, davanti alla solita edicola il fatidico giorno, la fatidica ora.
Erano tesi ma pronti per affrontare quel giorno che avrebbe cambiato per sempre le loro vite.

***

Idolo se ne stava appoggiato al lampione che proiettava il suo cono di luce salmonata sul marciapiede di fronte alla serranda dell’edicola.    Con le massicce braccia incrociate sul petto e lo sguardo vuoto, fissava l’insegna del negozio come un bonzo in meditazione per trovare la pace spirituale.
Il Piccolo lo scrutava lanciando occhiatine mentre gestiva con maestria tabacco e cartine. Le sue mani volavano sicure. Comprimeva il trinciato e aggiustava il filtro con la stessa disinvoltura con cui componeva le sue session al sassofono giù al ‘Mississippi Club’. Cercava di capire cosa avesse in mente l’amico: gli leggeva in volto una preoccupazione che rendeva nervoso anche lui. E il nervosismo lo distraeva. E la distrazione lo rendeva ancora più nervoso.
Chiuse la sigaretta con una passata di lingua e frugò nella tasca del pastrano alla ricerca del fuoco.
«Quindi?» chiese agli altri due.
«Quindi cosa?» gli rispose Idolo. «Credi che esista una soluzione facile a questo casino?»
Il chiodo non si mosse e non disse una parola. Era arrivato senza salutare e se ne stava lì impalato, con le mani in tasca come un condannato rassegnato all’ergastolo in attesa del verdetto della Cassazione.
Il piccolo aspirò una boccata di coraggio facendo brillare il tizzone e proseguì: «Beh, lo avete letto anche voi l’articolo sul giornale, no? Il pezzo di merda ci rovinerà, ci fotterà alla grande!»
Chiodo si svegliò dal torpore e lanciò la granata che aveva tenuto per sé tutto il giorno: «Non c’è altro modo: dobbiamo ucciderlo quello stronzo.»
I due amici lo fissarono con gli occhi spalancati. Non riuscivano a credere che lo avesse detto.

***

«Il veleno!» gridò Chiodo con gli occhi strabuzzati, agitando le braccia sotto il fascio di luce del lampione, come un attore in scena.
Il Piccolo trasalì. «Vuoi abbassare la voce, imbecille?» disse fiondandosi sull’esile compagno.
«Certo, come se fosse un gioco da ragazzi procurarsi del veleno» Idolo rimase a braccia incrociate, la fronte aggrottata.
«Però ti dico,» sussurrò Chiodo sotto gli occhi iracondi del Piccolo «ti dico che ci vuole una soluzione pulita. Alcuni veleni non lasciano alcuna traccia.»
«Nella sua idiozia, non sbaglia mica» si intromise il Piccolo. «Conviene a tutti che passi per morte naturale. L’età per l’infarto quel rognoso l’ha superata da un bel po’.»
Idolo cominciò a mangiucchiarsi l’interno della guancia. «Chiodo, tu non avevi un’amica infermiera?»
«Sì. Sì, lei potrebbe fare al caso nostro. Sono sicuro che conosce la pillolina giusta!» tornò ad esaltarsi Chiodo.
«Però quello lì ci conosce tutti in faccia.» rifletté il Piccolo, gettando la cicca «Chi gli metterà il veleno nella merenda?»
«Troveremo un modo.» bisbigliò Idolo «Cominciamo ad accettarci chi siano i nostri ‘amici’.»
«Ma…» Chiodo avanzò di qualche passo. Scrutò a lungo, con gli occhi socchiusi, nel buio della strada. «Ragazzi, mi sbaglio o quella è la Duchessa?»
E, a onor del vero, a passo sostenuto e frangetta svolazzante, la Duchessa, seno prorompente e sessant’anni di malizia, li stava raggiungendo col suo vistoso ancheggiare.
«Duchessa, che piacere!» le baciò la mano il Piccolo.
«Idolo,» lo ignorò lei. «ti devo parlare.»
«A proposito di cosa?» Idolo si drizzò.
«L’ho fatto» asserì la donna.
«Cosa?» chiesero tutti all’unisono.
«Il pezzo di merda. L’ho sistemato io» e si puntò il suo stesso indice laccato di rosso sul petto.
I tre si scambiarono sguardi inquieti. Si avvicinarono alla Duchessa gettando occhiate frenetiche a destra e a sinistra della strada.
«È nel cofano della mia Smart. Non avete idea della fatica che mi ci è voluta» continuò la donna, estraendo dalla tasca della giacca un fazzoletto di cotone e asciugandovisi la fronte. «Quell’auto è così schifosamente striminzita che mi ha costretta a farlo a pezzettini per farcelo entrare.»

***

A questo punto, sarebbe meglio tornare indietro a tre giorni prima, quando i tre amici neanche immaginavano di dover prendere una decisione così drastica.
Ognuno di loro viveva tranquillamente il proprio tran tran con la frustrazione tipica del quarantenne che ha perso tutte le occasioni per sfondare davvero ma ancora si illude di farcela. Sul palo della luce davanti all’edicola c’era un volantino: ‘Cerco informazioni su un gruppo di persone dette “i Tormentati”. Se li conoscete chiamate a qualunque ora’. Sotto una sfilza di striscioline con un numero di telefono. Neanche un nome, una firma.
Si erano ritrovati come sempre per la partitina a calcetto e ora quello strano biglietto li inquietava. Il Piccolo sgranocchiava le arachidi dalla busta, una dietro l’altra senza proferire parola. Il Chiodo si grattava la testa ormai quasi calva e fissava Idolo sperando avesse un’idea sulla questione, ma anche lui strabuzzava gli occhi. La Duchessa da dentro il chiosco dei giornali gli fece un fischio. «Ehi ragazzi, ma chi è che vi sta cercando così ostinatamente? Che cazzo avete fatto?»
I tre, come risvegliati da un sogno, si avvicinarono facendole il segno di abbassare la voce.
«Ok, abbasso la voce, ma voi che cazzo avete combinato?»

***

La Duchessa, così chiamata perché anni prima usava circolare per le strade di Roma in sella a un Ducati F1, attendeva una risposta. Avrebbero preferito dileguarsi. E invece si guardarono in volto. La duchessa la conoscevano da una vita; i peccati che non si potevano confessare a un prete venivano raccontati all’edicolante. La donna non avrebbe parlato, solo assentito. A volte si sbilanciava a fornire perle di saggezza, come solo i tassinari e alcuni utenti di Facebook sanno fare, ma erano casi rari.
Fu Idolo a parlare per primo. «Abbiamo fregato cinquecentomila euro a Bazooka.»
«Ma siete fuori di testa? Quello è il peggior strozzino di Roma. Non vi dico cosa ha combinato in questi anni, ma son tragedie. Forza, ditemi che è successo!»
«È successo l’altra sera, al concerto di Gianni al Concorde» disse Chiodo. «Durante una pausa se ne è andato sul retro a fumare una sigaretta e ha visto questi due balordi scambiarsi una borsa piena di denaro. Quando il primo se ne è andato, Gianni si è avvicinato al secondo e dall’alto del suo metro e novanta l’ha steso. Inutile dire che gli ha fregato i soldi.»
«E perché avreste fatto una cazzata del genere?» incalzò la Duchessa.
«Un gesto istintivo» si giustificò il Piccolo. «Ma sai cosa potremmo fare con quei soldi? Potrei andare a suonare a New York, Fabio finalmente otterrebbe un ruolo importante in California…»
«E potreste farvi ammazzare nel frattempo» completò la frase la Duchessa. «E come ha fatto Bazooka ad arrivare a voi? I cartelli parlano chiaro, cercano i Tormentati.»
«A quell’ora eravamo mezzi brilli» confessò Idolo. «È stata un’idea mia. Ho scritto su un biglietto ‘Questa ora è la nostra zona. i Tormentati’. Volevo fargli pensare a una banda rivale.»
«E tu saresti quello istruito?» sentenziò la Duchessa. «Ragazzi miei, siete in un mare di guai.

***

La Duchessa aveva fatto a pezzi Er Cencio in maniera da poterne stipare i resti nell’angusto portabagagli della Smart.
Lo strozzino, dopo quella sera che aveva passato la borsa con il denaro al Bazooka si era concesso una settimana sabbatica da passare fra salotti esclusivi e mignotte di alto bordo. Aveva portato a termine il suo incarico, il resto non doveva interessarlo. Attendeva un altro ordine da eseguire per conto del Coccia de Morto che a sua volta faceva eseguire operazioni sporche per conto di certi politici innominabili.
Il caso dell’omicidio del Bazooka era stato liquidato dalle autorità come il banale incidente di un ubriacone: una caduta accidentale e battendo la testa ci era rimasto secco.
Er Cencio ricattava la Duchessa per tenere la bocca chiusa riguardo il suo vizietto di frequentare club esclusivi dove perdeva la misura di se stessa accoppiandosi anche con animali. La donna versava al lazzarone 1000€ a settimana in cambio del silenzio fra i salotti mondani dove la nobil donna temeva che il suo ruolo di ‘troione blasonato’, molto apprezzato dai notabili cittadini, potesse retrocedere a quello di ‘volgare maiala pervertita’ una volta sparsa la chiacchiera.

Duchessa aveva conosciuto i Tormentati in uno di quei club esclusivi. I tre, scoglionati della tediosa vita matrimoniale, si erano rifugiati nel sesso trasgressivo e sfrenato. Una di quelle sere, dopo il groviglio del quale erano stati tutti e quattro partecipi, si lasciarono andare a delle confessioni intime.
La Duchessa, la sera in cui si erano incontrati sotto ‘il cono di luce salmonata del lampione’, temeva non solo per la sua vita, ma anche per quella dei tre bamboccioni che si erano messi a giocare ai malavitosi.

***

«Non per dire, ma dalla Smart cola sangue e inizia ad esserci un po’ troppa gente in giro.» sbottò Idolo che si era fatto sempre più nervoso. Tirava occhiate agitate a destra e a manca ai primi pendolari del mattino che si affacciavano sulla strada.
«Accidenti a voi tre, maledetti!» sibilò sottovoce Duchessa. «Una notte intera per capire come smaltire il cadavere senza arrivare a niente e ora mi fate pure aprire in ritardo l’edicola e macchiare tutta la Smart!»
Il Piccolo e il Chiodo osservarono la pozza di sangue che si allargava sotto la ForTwo. Scambiandosi una veloce occhiata d’intesa, frutto di decenni di frequentazione, misero in atto ‘il diversivo’.
Il Chiodo chiamò a raccolta tutti gli anni di Actor’s Studio in parti drammatiche e iniziò a urlare contro Il Piccolo accusandolo di aver avuto una tresca con la ex moglie e di essere il padre naturale di sua figlia Ginevra. Il Piccolo, che non sapeva recitare ma sapeva menare le mani molto bene, afferrò il Chiodo per la giacca, lo spostò di peso di fianco alla city car e gli sferrò un pugno dritto sul naso che fece volare sangue da tutte le parti.
A quel punto Idolo si mise a urlare come un matto: «Tutti indietro, tutti indietro! Sono della stampa, non è successo nulla. E lei signora sposti quella Smart, non vede che ostacola?»
Duchessa non se lo fece ripetere due volte: saltò a bordo e mise in moto. Il Chiodo afferrò la portiera e urlando «Mi salvi!» si rifugiò nell’abitacolo. La vettura scattò sull’asfalto sbandando.
«Lei non è della stampa?» strillò a quel punto Il Piccolo a Idolo. «Segua quella macchina e le farò fare il più grosso scoop della sua vita.»
I due corsero verso la 600 rossa parcheggiata poco più in là.
«E ora dove diamine vado?» chiese Duchessa al Chiodo che si tamponava il naso.

***

«E io che ne so?!” rispose isterico. «Quell’imbecille di Gianni mena forte» mugugnò.
«Ti lamenti sempre. Ce la siamo cavata, no?»
«Facile dire così quando non hai il naso rotto.»
Nadia sbuffò. «Ok, ora dove diavolo vado?»
Come Chiodo aprì la bocca per rispondere, gli squillò il cellulare: era Idolo. «Vi mando un indirizzo via WhatsApp. Dirigetevi lì» e staccò senza attendere risposta.
«Che dice?»
Chiodo attese le coordinate prima di risponderle. «Dobbiamo andare qui… Ora svolta a destra.»

Mezzora dopo la Smart gialla inchiodò su un selciato anonimo, seguita dalla 600 di Enzo che scese come una furia: «Apri il bagagliaio.»
Nadia avrebbe voluto spiegazioni, ma lo sguardo di Idolo la dissuase. Scese dalla macchina e sbloccò il bagagliaio: sangue ovunque, budella sparpagliate e attrezzi sporchi.
«Cazzo» concluse Idolo richiudendo.
«Mi vuoi spiegare cos-»
«CAZZO!»
«Calmati» provò a dire Nadia, ma lui le fu subito addosso.
«Mi vuoi spiegare che t’è passato per la testa!? Hai macellato uno degli strozzini più pericolosi di Roma! Se arriveremo a domani, lo faremo da dietro le sbarre!»
Il Piccolo si mise in mezzo temendo la cosa degenerasse.
«Ti giurò che non è colpa mia» iniziò a piangere lei. «Mi sono solo difesa! Anch’io avevo dei debiti con lui, ieri notte s’è presentato a casa mia, mi ha minacciata e poi…» ma le si spezzò la voce.
Chiodo le porse un fazzoletto.
«Ha provato a violentarmi. Io non sapevo cosa fare, ho preso la lampada sul comò e gliel’ho spaccata in testa»
Idolo si calmò, la collera sul suo volto lasciò il posto al pallore. Pensarono tutti la stessa cosa, ma Chiodo lo disse per primo: «Bene, siamo morti!» e prese a ridere istericamente.
Lo sconforto li assalì, ma Gianni ebbe un sussulto. «Io ti denuncio e mi tiro fuori!» proclamò prendendo il cellulare.

***

Le sue dita tremavano tanto da non permettergli di comporre alcun numero e questo bastò a Enzo per riscuotersi dallo shock e reagire.
«Ma sei pazzo?!» gli urlò contro, avvicinandosi. Con una manata lo costrinse a lasciare il telefono. Lo guardò dritto negli occhi, incurante della differenza di stazza. «Non puoi essere serio.»
Alle sue spalle la Duchessa li guardava con occhi sbarrati, il Chiodo balbettava frasi senza senso.
«È l’unico modo che ho. Ho una famiglia a cui pensare, io.»
«Se denunci lei ci finiamo in mezzo tutti e tre! Credi che ti daranno una medaglia per averla denunciata? Che ti risparmieranno la galera?» Cercava di farlo ragionare, ma si rendeva conto di non riuscire a trattenere la rabbia. Aveva sempre odiato gli egoisti e in quel momento Gianni non si stava comportando diversamente: stava cercando il modo più semplice per salvarsi la pelle, senza tener conto delle ripercussioni che ci sarebbero state per gli altri. Se credeva che gliel’avrebbero permesso si sbagliava di grosso.    «Appena sapranno del furto, e lo sapranno se ci tradisci, noi tradiremo te» lo minacciò.
Il Piccolo abbassò lo sguardo.
«Ti sbatteranno in una cella e butteranno la chiave. È così che funziona. Quindi evita di combinare cazzate perché non sei l’unico qui che ha qualcosa da perdere.»
Dopo essersi assicurato che l’altro non aveva più niente da ribattere si rivolse agli altri due.
«Chiodo, tu smettila di farneticare: ci siamo dentro insieme e la risolviamo insieme. Adesso dobbiamo pensare a liberarci del corpo. Senza cadavere non potranno incastrarci.»
Ci fu silenzio per qualche secondo, poi la Duchessa fece un passo avanti. «Ci serve della benzina.»

***

«Non è una buona idea» Enzo scosse la testa. «Il fuoco richiamerebbe l’attenzione senza distruggere le tracce organiche.»
Prese in mano la situazione. Fece segno agli altri di fare capannello e spiegò il piano. Un cenno d’intesa e scattarono.
Fabio e Gianni presero la macchina di Idolo e, completati gli acquisti, raggiunsero i complici nel garage di Enzo. Chiusi dentro, alla luce della lampada che pendeva dal soffitto scrostato, indossarono guanti e tute monouso. Furono meticolosi: sistemarono il corpo dello strozzino in due scatole di plastica, i coperchi sigillati col silicone; pulirono tutto con detersivi, ammoniaca, candeggina.
L’indomani, Idolo e il Piccolo si recarono al lido di Ostia; noleggiata una barca, scaricarono al largo le scatole.

Quella sera si trovarono a casa dalla Duchessa, spartirono i soldi, festeggiando con salamelle e birra.
«Mia figlia» Chiodo trattenne l’emozione. «è molto brava a scuola. Dopo il liceo le piacerebbe studiare al politecnico di Zurigo, ma sa che non possiamo permettercelo. Con questi» sbandierò una delle mazzette di banconote. «non lascerò che i suoi sogni appassiscano come i miei.»
Il Piccolo, occhi lucidi, lo fissò. «Almeno così ha un senso. Ho rubato soldi che non mi servivano; suonare a New York è bello finché rimane una fantasia» confessò con tono moscio.
«Per me cambierà poco» Enzo si morse un labbro. «Non ho una compagna, una figlia. Gli unici affetti che mi rimangono siete voi.»
Chiodo gli sorrise. «La mia amica infermiera ama il cinema. Ha guardato più volte il video in cui recensisci Pretty Woman e mi ha confidato che le piaci.»
«Io…» la Duchessa si mangiucchiò lo smalto. «avevo pensato di vendere tutto e girare per il mondo. Ma ho capito che la mia vita è qui, con voi.»

Ripresero a incontrarsi all’edicola, ma il loro animo era mutato. La postura emanava fierezza; negli occhi brillava la complicità di un’avventura in grado di riscattare i sogni perduti.
Due anni dopo, alla festa di Ginevra in partenza per Zurigo, c’erano tutti, anche Enzo abbracciato a Isabella, l’infermiera.