OCCHI NELLA NOTTE [RACCONTO]

[PREMESSA: Il racconto è stato pubblicato nell’antologia “Il Libro di Roba da scrittori”. Rileggendolo oggi mi si blocca lo stomaco perché si possono notare una quantità di errori tipici dell’esordiente da farmi star male. Non ne farò una revisione; mi servirà da monito per il futuro.]

La copertina dell'antologia di Roba Da Scrittori

Buio.

La fredda cecità lucente della stanza era interrotta solo dal debole irradiarsi di colori della televisione muta e dal bianco latteo proiettato dallo schermo del portatile. La cadaverica luce statica contrapposta a quella vivace e brillante risplendeva creando giochi di colori sugli oggetti nel profondo della notte.
  La stanza era piccola ma non troppo angusta, tutta arredata in modo moderno e semplicistico. Nella parete di fronte alla porta d’ingresso c’era una piccola libreria in finto legno, probabilmente comprata in uno di quei grandi magazzini di vendita dei mobili per la massa che ad alcuni piaceva definire “armi di svendita e controllo di massa”, in cui un piccolo televisore faceva capolino dall’unico vano sgombro da libri. Mensole di varia fattura e grandezza regnavano ai lati del mobile, tutte ingombre di polverosi volumi, come vecchi seduti ai bordi delle strade intenti a non far nulla all’infuori del guardare chi passa. Sulle due pareti laterali un piccolo tavolino occupato da un telefono e una rubrica da una parte e un caminetto moderno dall’altra ornavano il poco spazio presente. Vicino all’ingresso una scrivania minimalista di colore bianco pallido ospitava pochi oggetti: al centro si ergeva marmoreo un computer portatile bianco lucido, sulla destra una tazza a forma di Vespa anch’essa bianca ma più sporco piena zeppa di matite e penne a sfera, un blocco di fogli candidi sovrastato da alcuni sparsi e decorati di neri appunti come macchie di vino su una tovaglia; sulla sinistra un pacchetto stropicciato di sigarette sulla cui superficie nero seppia risaltavano scritte che ribadivano lo straordinario gusto del tabacco tostato, un accendino accanto al pacchetto anch’esso nero, un posacenere in vetro zigrinato e un bicchierino in compagnia di una bottiglia di liquido ambrato dall’etichetta scura. C’era un certo ordine in tutti quegli oggetti e il loro colore pesava sull’acuto osservatore.
  Nel mio gironzolare sparso e zigzagante nel vuoto della stanza intenta nei miei pensieri, posai lieve le mie membra sullo sgabello che sporgeva sotto il tavolo del telefono.
  La figura solitaria che stazionava seduta alla scrivania di fronte al computer era intenta a maneggiare carta e penna perdendosi ogni tanto a contemplare il nulla, forse cullato dai suoi pensieri, e non si accorse della mia presenza.
  Ero follemente attratta dalla luce, il fresco e splendido biancore che il monitor proiettava sulla figura dell’uomo. Così lasciai la mia postazione, girando e vagando nell’aere come un fantasma, per dirigermi da quella parte ma la mia attenzione venne deviata verso la televisione che riempiva di colori muti gli spazi circostanti.
  Tentai più volte di capire il senso di tutte quelle variopinte tinte nel mio aleggiare al centro della stanza, ma non riuscii proprio ad associare quelle macchie su schermo a nulla che conoscevo. Tornai a guardare l’uomo e mi sistemai silenziosa ad osservare cosa stesse facendo da sopra le sue spalle, non perché mi interessasse veramente, ma non avevo di meglio da fare.
  Il foglio che aveva in mano era scarabocchiato con varie frasi di cui non capivo il significato. La parte superiore recitava: “Perché scrivo?” e sotto erano elencati altri scarabocchi: “Per sentirmi bene con me stesso”, “ Per trasmettere qualcosa”, “Per visualizzare i miei pensieri e imprimerli nel ricordo di me”, “Perché ne sento il bisogno”, “Per viaggiare in posti che non ho mai visto” ecc.
  Vedevo chiaramente le scritte nere su quel foglio bianco grazie alla luce proveniente dalla scrivania dinanzi a lui ma non comprendevo cosa volessero dire. L’uomo era dubbioso e fissava il foglio in modo sognante, probabilmente non molto convinto del suo operato.
  Me ne stetti li, guardinga, osservandolo senza che lui si accorgesse di nulla, preso com’era dal suo divagare con la mente. Approfittai della situazione di stallo per guardarmi e, come sempre, venni presa dall’insano istinto di sfregarmi ovunque per ripulirmi dallo sporco. Non che fossi veramente sozza ma avevo sempre quella sensazione di essere poco linda che mi provocava un’irrefrenabile mania di pulizia.
  Ero ancora intenta nella mia frenetica ma taciturna attività quando l’uomo si destò dal suo torpore autoindotto spaventandomi a morte.
  Se si fosse accorto di me?
  No, l’uomo non doveva assolutamente vedermi altrimenti sarebbe stato un bel dramma.
  Si risistemò sulla sedia cambiando posizione e osservò per qualche istante il foglio con le scritte, mentre io mi ritraevo furtiva da sopra la sua spalla e ne approfittavo per fare il giro esplorativo della stanza. Dato che non si era accorto di niente e vi-sto che la curiosità fremeva ancora dentro me, mi riposizionarmi ad osservare da sopra l’altra spalla.
  L’uomo si mosse lentamente e tracciò una linea sull’ultimo punto, come per cancellarlo; passò al penultimo e anche su esso tracciò una riga e così via fino al primo restituendo al nulla tutto il lavoro fatto. Lentamente chiuse la penna a sfera coprendola col suo cappuccio nero, la posò dentro la tazza porta penne e ne estrasse un pennarello rosso dalla punta larga. Lo aprì e tracciò con ampie linee, come un pittore che disegna con pennellate risolute la sua tela, una domanda che macchiò di rosso sangue tutta la metà della pagina rimasta vuota.

PERCHÉ NO?

  «Già, proprio così…» sussurrò a sé stesso l’uomo, lasciando la frase sospesa nel buio silenzioso della stanza. Fissò il foglio intensamente dipingendosi in volto un sorriso piuttosto soddisfatto.
  «Perché scrivi?! Perché no?» riprese poi continuando il suo solitario monologo «In fondo rispondere ad una domanda con una domanda è quello che facciamo continuamente, è parte di noi, parte dell’essere e del divenire, una parte del tutto. Briciole dell’esistenza»

Io d’altra parte ero solo una mosca e non capivo cosa volesse esprimere l’uomo con le sue parole e neanche mi importava; la mia attenzione veniva deviata facilmente. Tanto più che balzai via da sopra la sua spalla e proseguii il mio volo casuale fuori dalla finestra, nel buio della notte dove una lieve brezza estiva trasportava morbido calore riappacificante.