Storia, racconto e narrazione

Introduzione

In questo articolo sviscereremo il significato di tre termini spesso confusi o utilizzati erroneamente: storia, racconto e narrazione. Partiamo dalla vostra analisi del seguente brano:

Ricordo

Non ho un’immagine precisa del giorno in cui iniziai ad appassionarmi alla lettura. Ricordo però il terrore e la sensazione di impotenza che provai quando mia madre mi prese di forza, mi portò in biblioteca e mi minacciò dicendo che non saremmo usciti di là finché non avessi scelto un libro. A quel punto saremmo andati a casa e lo avrei letto. Fine della discussione. Mi sentivo sperduto in tutti quegli scaffali pieni di libri e parole. Ero attanagliato da una cosa enorme rispetto al mio essere un preadolescente che non si era mai avvicinato a quell’universo. Così scelsi un libro aggrappandomi disperatamente all’unico appiglio che riuscii a trovare, giudicandolo dalla copertina anche su suggerimento della bibliotecaria. Inutile dire che non funzionò: forzare qualcuno a leggere solo perché è giusto che legga è un piano fallimentare sin dal preambolo. Ricordo poco o nulla di quel libro tranne che dicevano fosse “per adolescenti“ e che sulla copertina ci fosse il disegno abbozzato di un astronauta. Solo di una cosa ho un ricordo vivido: era scritto da cani, noioso ed esasperante. Lo lessi a forza e lo abbandonai. Fu solo in seguito che, incuriosito per caso da un libro sulla libreria di casa, fui catapultato nel mondo della narrativa che oggi adoro.

Bella storia vero? Ora fermatevi un attimo e riflettete su quello che avete appena letto: secondo voi è un racconto, una storia, una narrazione? Risulta efficace alla lettura?
La risposta è sì e no. Ciò che avete letto è una storia e c’è un narratore che ve la sta esponendo, ma non è propriamente un racconto. Tuttavia se come scrittori vi ritrovate in questo tipo di esposizione, tranquilli, nulla è perduto.

«DON’T PANIC, niente panico.»
(Douglas Adams, Guida intergalattica per autostoppisti, 1979)

Cos’è un racconto?

Ognuno di noi ha una propria nozione di racconto basata sulle esperienze di lettura. Il più delle volte viene costruita su fattori come il gusto personale e le aspettative. Ma cos’è in realtà un racconto? Per capirlo dobbiamo addentrarci nella narratologia. Questa branca di studi orientati all’analisi delle strutture narrative non detta delle regole, ma aiuta a scandagliare i perché e i come di una narrazione. Gli studi narratologici sono esplosi nel XX secolo e hanno esaurito la loro carica innovativa negli ultimi decenni, ma hanno radici profonde nella storia. Già Aristotele nel 330 a.C. formulò un’analisi dell’arte fornendo al mondo la “Poetica” il primo manuale di analisi della tragedia e dell’epica.

«La narratologia è una disciplina con interessi e intendimenti assai disparati, che vanno dalla ricerca di una logica potenzialmente universale del racconto al sondaggio della tecnica narrativa, dalla elaborazione di una rigorosa e monistica metodologia a un più duttile scandaglio interdisciplinare.»
(Angelo Marchese, 1983)

Gérard Genette e lo strutturalismo

Gérard Genette, critico letterario e saggista francese, è uno degli esponenti di risalto dello strutturalismo. Movimento filosofico, scientifico e critico letterario di metà ‘900 nacque con lo scopo di estendere ad altri campi il metodo dello strutturalismo linguistico. In particolare, fra le altre cose, questa corrente di pensiero si occupò anche della disamina della narratologia e delle strutture narrative.
Genette ha scritto diversi saggi, ma i tre volumi di Figure sono ampiamente riconosciuti come testo fondamentale della narratologia. I saggi furono pubblicati con titolo originale ‘Figures’ che venne poi dato anche a due opere successive. Di grande importanza tra i primi tre volumi è la teoria della suddivisione tra storia, racconto e narrazione esposta nel terzo libro.

Gérard Genette – Figure 3. Discorso del racconto

L’autore si sofferma sull’uso della parola Racconto che impieghiamo il più delle volte senza preoccuparci della sua ambiguità, a volte senza percepirla. Alcune delle difficoltà della narratologia derivano probabilmente da questa confusione. Se vogliamo cominciare a vederci più chiaro è necessario individuare precisamente sotto il termine racconto tre distinte nozioni.

Storia, racconto e narrazione

«Propongo (senza insistere sulle ragioni, peraltro evidenti, della scelta di tali termini) di chiamare storia il significato o contenuto narrativo (anche se tale contenuto può risultare all’occorrenza di debole intensità drammatica o tenore evenemenziale), racconto propriamente detto il significante, enunciato, discorso o testo narrativo stesso, e narrazione l’atto narrativo produttore e, per estensione, l’insieme della situazione reale o fittizia in cui esso si colloca.»
(Gérard Genette, Figures III, 1972)

Genette suggerisce non a caso una definizione di racconto estesa che include tre sotto definizioni e altrettanti significati distinti, ponendo come esempio l’Odissea:

Il contenuto: la Storia

Il Racconto può essere inteso come espressione del significato del contenuto narrativo
In questa accezione il termine Racconto indica la successione degli eventi, siano essi reali o immaginari, che fanno parte del contenuto narrativo. Di questa definizione fanno parte anche le interconnessioni proprie tra gli avvenimenti. Partendo da questa nozione, «Analisi del racconto significa allora studio d’un insieme d’azioni e situazioni considerate in sé, fatta astrazione dal medium, linguistico o no, che ce ne dà cognizione: in questo caso, le avventure vissute da Ulisse dopo la caduta di Troia fino al suo arrivo presso Calipso».
Questa accezione del termine viene identificata come “storia“.

L’enunciato: il Racconto

In questa accezione, quella più comune del termine, il Racconto indica il significante, ovvero l’enunciato narrativo. In parole povere individua la parte di testo che riporta esattamente il resoconto di un avvenimento o di una serie di avvenimenti. «Così si chiamerà racconto d’Ulisse il discorso tenuto dall’eroe nei canti dall’IX al XII dell’Odissea, e dunque questi stessi quattro canti, cioè il segmento del testo omerico che pretende esserne la trascrizione fedele».
Questa accezione del termine viene identificata come “racconto”.

L’enunciazione: la Narrazione

Il Racconto può essere inteso come espressione dell’enunciazione narrativa.
In questa accezione, quella più antica del termine, il Racconto indica sempre un avvenimento. Bensì non i fatti in sé, ma «consiste nel fatto che qualcuno racconta qualcosa: l’atto del narrare preso in se stesso. Diremo così che i canti dal IX al XII dell’Odissea sono consacrati al racconto di Ulisse, come diciamo che il canto XXII è consacrato al massacro dei pretendenti: raccontare le proprie avventure è un’azione, esattamente come massacrare i pretendenti della propria moglie».
Questa accezione del termine viene identificata come “narrazione“.

L’attenzione a questi problemi era già stata analizzata da Platone, ma poi messa a lato per concentrarsi con maggiore impegno sull’enunciato e sul contenuto. Prima di questa enunciazione la teoria del racconto si era di rado preoccupata dei problemi dell’enunciazione narrativa, come se l’esistenza di un narratore e i suoi filtri, fosse un problema del tutto secondario. Al giorno d’oggi molti dimenticano la differenza tra contenuto, enunciato ed enunciazione andando così a creare testi, in maniera involontaria, senza uno di questi tre aspetti.

Coclusioni

Ricapitolando: la storia è il significato che vuole proporre un testo attraverso la sua trama; il racconto è l’esposizione nuda e cruda dei singoli fatti; la narrazione è l’esposizione della situazione attraverso un filtro, quello appunto del narratore. Va da sé che, nonostante il gioco di parole, un racconto non può essere un Racconto se non contiene la componente propriamente detta racconto. Tutt’al più potrà essere una storia o una narrazione.

Ora forse potrete leggere un racconto con occhio diverso, scindendolo in questi tre concetti fondamentali.

Leggi altri articoli sulla scrittura creativa.