Le cose che mi sconvolgono di uno scribacchino

Non mi piace fare delle liste, ma visto che va tanto di moda utilizzerò un poco del mio tempo per cercare di descrivere le qualità che più mi irritano quando leggo un testo. Non sarò categorico e non sarò completo. La prima nasce dal fatto che penso ci sia sempre una via di mezzo nelle cose. Anche se un testo non sarà un capolavoro mondiale ricordato dalle generazioni future, ciò non toglie che possa essere comunque leggibile. La seconda è perché la mia memoria a lungo, breve e brevissimo termine vacilla spesso azzerandosi nei momenti meno opportuni. Visto che la mia RAM è così imprevedibile, perdo spesso il filo del discorso se non mi limito a una sintesi estrema.

   In un testo — racconto o romanzo — la verità è che l’autore sta cercando di comunicare con il suo lettore, perché la scrittura è una forma di comunicazione quasi unilaterale. Quando un autore si mette nei panni del mittente del messaggio scritto, parte di lui, della sua personalità, della sua visione del mondo, converge in quello che scrive. Il contenuto del messaggio viene “sporcato” con la sovrapposizione di un disturbo dato dall’autore e il destinatario quindi coglie alcune sfumature dell’autore affrontando la lettura. Quando mi approccio a un testo non posso fare a meno di percepire l’autore in prima persona e in tutte le forme. Non so se sia un bene o un male, sta di fatto che colgo molte sfumature e dettagli che spesso non vengono curati perché: “L’importante è la storia”. Sinceramente la storia ve la potete infilare in quel posto.

   Consideriamo il dogma assoluto che proclama l’estraneità dell’autore all’interno del racconto e lo solleva dal gravoso compito di partecipare alla storia. Questa piccola e fondamentale regola ci dice che, durante la narrazione, solo il narratore e i personaggi vengono toccati e coinvolti dallo scorrere fabulistico. E, diciamocelo, non c’è niente di più fastidioso di un autore che non è capace di vendersi nella stesura di un testo. Lo può fare in tanti modi e cercherò di esporli di seguito in più riprese, quando la memoria mi assisterà.

1 – Pochezza di idee:
Tutto nasce sempre da un’idea plasmata dalla mente, un sogno, un colpo di genio, una scena vista, un fatto a cui ispirarsi, il concetto da instillare e trasmettere. Ma non c’è niente di più irritante della pochezza di idee convogliata in una lunga serie di banalità. Forse allo stesso livello si può equiparare solo una grande idea mal realizzata.

   Dall’insegnamento tolkieniano, fino ad arrivare ai seguiti della serie “stanchi da morire”, passando alle più recenti trilogie a tutti i costi, il minimo comune denominatore è diventato quello di stretchare — allungare e stiracchiare non rendono così bene l’idea — un piccola idea originale perpetrandola il più possibile. La nascita delle saghe e la tecnologia alla portata di tutti cullata dalla crescente alfabetizzazione hanno portato al baratro odierno. Se è vero che le saghe sono nate un po’ da Tolkien e dall’ispirazione delle moltitudini di nerd emarginati che vi si sono aggrappati come a un Santo Graal, allo stesso modo è vero che la tecnologia è nata dall’intelligenza dei nostri avi e dei grandi visionari. Non si può dire altrettanto dell’alfabetizzazione perché risulta un concetto del tutto slegato dall’intelligenza. Questa infatti, in una delle sue tonalità, si concretizza nell’ingegno intellettuale che ci permette di innovare idee che apprendiamo per creare qualcosa di nuovo.

   Gli stereotipi e i modelli prototipati sono diventati elementi all’ordine del giorno. Personaggi bidimensionali e cliché — i cosiddetti Mary Sue e Gary Stu cui accennerò in un altro articolo vista la mole dell’argomento— trionfano per poca voglia o incapacità di costruire un profilo reale con un bagaglio formativo studiato, capace di essere al tempo stesso coerente e credibile. Peggio ancora sono le situazioni standardizzate:

  • Giovane bellissimo/a, bravissimo/a, amatissimo/a, simpaticissimo/a con una vita perfetta o/a;
  • Lui/lei ama lui/lei, ma l’amore non è corrisposto;
  • Quello che chiamo “il mito del superuomo” che si condensa in diverse tipologie come “La super nemesi antagonista”, “Il predestinato Harrypotteriano”, “Il supereroe solo-io-posso-sconfiggerti”, “Il designato sono-stato-scelto-dal-[inserire qui un oggetto superpotente del destino qualsiasi]”, e il migliore di tutti “Il-maestro-Miyagi-mi-ha-imparato-le-arti-marziali”.

2 – Divario percettivo:
Il duro lavoro dello scrittore è rendere in parole quello che immagina. C’è chi lo sa fare in modo eccellente, chi se la cava e chi proprio non ce la fa. Non c’è scusa che tenga: l’autore si può immaginare una storia incredibile, personaggi originali, un intreccio frizzante che terrebbe incollato dalla prima all’ultima parola; se però non è in grado di tradurre in parole quello che la sua testolina malata partorisce, allora è un lavoro inutile. Può anche utilizzare il suo tempo in modi migliori come dedicarsi a sport quali il modernissimo chupito a ostacoli o la maratona notturna di cazzeggio insonne su internet.

   Al giorno d’oggi sono tutti pseudo artisti: “ho pubblicato un romanzo”, “sono uno scrittore”, “i miei personaggi mi parlano” e “il mio pubblico mi adora”. Tutte fregnacce. In realtà: hai scritto un’accozzaglia di parole di seguito a stento leggibili, zeppe di aggettivi e avverbi, con subordinate come se non ci fosse un domani, possiedi solo una penna, non sei uno scrittore, i tuoi personaggi non ti parlano, hai solo una doppia personalità mutaforma e no, devo farti presente che amici e parenti non sono un pubblico.
   Tradurre le idee in parole è un lavoro serio, per cui bisogna spalare merda per ore tanto da farsi sanguinare occhi e mani. Altrimenti si rischia di sprofondare in una verbosa sequela di mediocrità: tutti sono capaci di scrivere un concetto su un pezzo di carta. La differenza tra uno scrittore e una persona qualunque è che lo scrittore trasmette l’idea esattamente come la immagina, mentre se prendiamo alcune persone non sanno scrivere neanche per se stessi: scrivono appunti o post-it che una volta riletti non sono neanche in grado di interpretare. E se non sa cogliere il significato chi scrive un testo, figuriamoci se ci riuscirebbe un estraneo — leggasi lettore. Per intenderci sono quelli che: “ma no, qui io intendevo che…”. Se me lo devi spiegare di nuovo significa che quello che hai scritto era confuso.
   Il divario percettivo viene messo in pratica con diverse abitudini stilistiche:

  • 2.1 Divario linguistico
    Il divario linguistico è tipico degli scrittori in erba e si divide in due categorie a seconda dei termini: arcaici o ricercati.

       Il divario sui termini arcaici è un ritornello che trovo spesso nei testi più disparati. Una lunga sequela di “Esso/Essa…”, “Il quale/La quale…”. Cose che neanche a mio nonno sentivo pronunciare. Per non parlare di ripetitive e primitive elisioni delle particelle pronominali (di eccessiva diffusione). Ma questi sono solo alcuni degli esempi. Se leggete un testo e notate parole che, nel parlare comune, non mettereste mai in bocca a nessuno, be’ avete trovato il divario linguistico arcaico. Della serie: non scrivere come un cane, però parla come mangi.
       Il divario sui termini ricercati si concretizza in una serie di paroloni intangibili che manco il dizionario De Mauro e l’Accademia della Crusca saprebbero utilizzare una così ampia gamma di vocaboli. A volte coincide con il divario sui termini arcaici perché i più bravi sperimentano le combo con parole altisonanti e desuete. Ancora una volta, parla come mangi e non prendere esempio dal tizio del segreto 13000 su insegreto.it.
       Entrambi i divari fanno sì che il testo sia poco scorrevole e difficile da maneggiare da parte del lettore che si trova in una continua corsa a ostacoli per rincorrere l’altezzosa mania dell’autore. Per risolvere questi problemi è consigliabile smetterla di porsi su un piedistallo iridescente per mettersi in mostra come una vamp allappata e scrivere più come si parla. Il segreto è scrivere come se stessimo raccontando la storia a un nostro amico: siamo al bar, magari davanti a una birra, e gli raccontiamo la nostra storia. Questo approccio può anche avere un effetto negativo e opposto perché si potrebbe tendere a prendere confidenza con il lettore anche quando non serve, ma tenete da parte l’approccio e fate tesoro dello stile.

    “Ciò che risulta scorrevole da leggere è dannatamente difficile da scrivere” diceva Nathanael West. Non prendete la via più breve, prendete quella più sicura.

  • 2.2 Divario scenografico
  • Il divario scenografico è molto comune agli scrittori esordienti: hanno in mente una storia bella ma la raccontano nel modo sbagliato, non facendo luce sugli aspetti giusti. Fare luce non è un modo di dire che ho scelto a caso. Immaginiamo che il lettore, quando legge il libro, sia in una stanza buia. Oh certo, sa com’è fatta la porta (copertina) e ha letto le scritte sopra; sa com’è l’edificio al di fuori, quant’è grande a occhio; magari si è pure informato sul proprietario (copertina interna o quarta copertina). Non appena comincia a leggere però entra nella stanza, si chiude la porta alle spalle e… buio. Ora ci sono lui e l’autore e ci sono solo due possibilità: che decida di parlare al lettore nel buio (tell) o accenda la “torcia magica dello scrittore” (show) l’errore è sempre dietro l’angolo.

       Ad esempio, nel primo caso, lo scrittore può parlare e divagare quanto vuole della sua storia, ma se non sarà preciso, fin quando non parlerà dei particolari giusti, il lettore continuerà ad interromperlo per fare domande. In questo caso sarà molto probabile che, invece di ascoltare il narratore, si faccia domande in testa e si perda nei suoi ragionamenti. Nel secondo caso invece la torcia del narratore non illumina i particolari giusti, sorvolando su alcuni dettagli fondamentali. L’autore ha ben presente come ha arredato la stanza, magari scegliendo uno stile e una precisa disposizione degli oggetti. Il lettore però può vedere solo ciò che è illuminato e mostrato dal narratore: deve illuminare ciò che serve alla storia, evitare di saltare di qua e di là con la luce, spegnerla e accenderla senza motivo ecc. Ci siamo capiti no?

  • 2.3 Divario convettivo:
  • Ora, visto le premesse che ho fatto all’inizio dell’articolo (per intenderci la parte in cui parlo della volatilità della mia memoria), qui avrebbe dovuto esserci qualcosa. Senza dubbio era qualcosa di importante dato che l’ho segnato sulla bozza dell’articolo. La mia memoria però si rifiuta di collaborare e quindi, come spiego con la figura qui sotto, tornerò sull’argomento quando il mio cervello si toglierà di torno quella musichetta fastidiosa di sottofondo.

3 – Chi non sa le basi:
   Questo post sarà un po’ noioso e tratterà di cose poco interessanti. Però non rompete troppo, sono cosa DA SAPERE.
   Per fare lo scrittore devi sapere scrive. Sembra una cosa scontata, come dire che per fare il manovale nell’edilizia devi avere le braccia; come si fa a sollevare pesi tutto il giorno senza braccia? Come fai a intonacare? Non è discriminazione, è puro materialismo e anche un pizzico di causalità: non puoi fare una cosa se non possiedi gli strumenti necessari per farla. Se il nostro amico senza braccia vuole lavorare nell’edilizia si ritaglierà un suo spazio come geometra, come interior design, come quello che vuole. Dovrà lottare molto più di altri. Però, aimè, non potrà fare il manovale. A meno che non trovi un metodo per farsi ricrescere le braccia.
   Allo stesso modo lo scrittore non può permettersi di non conoscere i fondamenti della scrittura, lavoro o puro e semplice hobby che sia. Per fondamenti non intendo le tecniche di scrittura, di narrazione, di stesura della fabula. Tutto questo è un più; il vero must è la capacità espositiva, in termini tecnici: il protocollo utilizzato per trasmettere il messaggio. È un concetto così semplice che le persone se lo dimenticano.
Mauro Corona   Per intenderci, non tutti possono permettersi di fare come Mauro Corona che (tratto da una scena di vita vissuta) ha mandato a quel paese il suo editore per telefono, la cui unica colpa era quella di aver osato dichiarare l’inadeguatezza del suo ultimo lavoro.
   Il problema, oltretutto, non riguarda solo gli scrittori ma anche gli editori, che si appoggiano sempre più spesso a personale incompetente improvvisato. E ricordiamoci che un editor non è un semplice correttore di bozze che ti segna dove mettere il punto, quale parola hai scritto male o quale frase sarebbe da correggere. Il compito più importante di un editor è anche quello di essere il lettore di test dell’opera e capire a primo occhio cosa non va e cosa potrebbe essere migliorato.
   Per fare bene il lavoro di scrittore bisogna limare il più possibile i difetti e tutto comincia conoscendo le basi. Siate voi editor o scrittori, dovete comunque conoscere queste capisaldi della scrittura. Vediamoli uno per uno e impariamo a edificare per bene:

  • 3.1 Punteggiatura
  • Conoscere i segni di interpunzione non è solo una superficiale passione dei letterati che non hanno di meglio da fare. Significa soprattutto essere consapevoli delle pause di recitazione e interpretazione di un testo. Il loro significato è già stato sviscerato in uno dei miei precedenti articoli che potete scaricare QUI in versione pdf. Come già detto le regole rigide sono ben poche e molte volte l’utilizzo della punteggiatura è soggettivo. In ogni caso dalla punteggiatura dipendono molti fattori come la velocità di lettura, le pause, l’intonazione, l’enfasi. Tutti questi fattori si condensano nell’efficacia di un testo. Per capire come dovrebbe essere letto (e soprattutto scritto) un testo, si dovrebbe trarre insegnamento dall’interpretazione teatrale. Ciò nonostante basterebbe comprendere alcune piccole regole che disciplinano l’utilizzo di questi segnali, per non commettere grossolani errori: analisi grammaticale e logica. Vediamo quindi nel dettaglio questi altri due mattoni che costituiscono le fondamenta della scrittura.

  • 3.2 Analisi grammaticale e analisi logica della proposizione
  • L’analisi grammaticale è uno studio che permette di assegnare a ogni parola una parte del discorso. In italiano le categorie della grammatica in cui si dividono le parti del discorso sono nove divise in variabili (articolo, nome, aggettivo, pronome e verbo) e invariabili (avverbio, preposizione, congiunzione, interiezione). Non starò qui a spiegare cos’è un avverbio, un nome o un’interiezione; per chi si vuole informare c’è Wikipedia.
       Lo step successivo è l’analisi logica o sintassi, cioè il procedimento che consente di riconoscere i singoli componenti (soggetto, predicato, complementi) all’interno di una frase o periodo. Queste due pietre miliari non sono solo un capro espiatorio che le maestre delle scuole usano per torturare i bambini sfogando la loro rabbia repressa. Sono invece necessarie per capire come meglio utilizzare gli elementi della lingua, come disporli nel flusso espressivo e come farli interagire tra di loro. Ancora una volta può sembrare banale ma errori come la costruzione di frasi passive, verbi transitivi senza oggetti, tripla/quadrupla aggettivazione, avverbi in abbondanza, inversione verbo-soggetto o aggettivo-nome. Potrei stare qui tutta la notte e rido di chi mi dice: «Scherziamo, io queste cose mica le faccio! Anche io non posso sopportarle certe cose.»
       E allora mi chiedo, perché diavolo scrivi cose come “era una radiosa, ma splendente e romantica alba arancione.” (Citazione inventata sul momento che rispecchia il 50% dei libri che volano fuori dalla finestra di casa mia).
       Spero tu muoia soffocato dai tutoi stessi aggettivi.

    Conoscere questo tipo di studi vi permetterà anche di evitare baggianate come: “Fonti governative sostengono che il rifugio del pericoloso criminale è stato individuato.”
       Notato niente? Se non avete notato l’errore dubito che la scrittura faccia per voi perché “sostengono CHE […] È STATO” è una porcheria. Il congiuntivo è SIA.

    Elementi di analisi logica e grammaticale della lingua italiana

  • 3.3 Analisi logica del periodo:
  • Proseguendo nella lunga lista di concetti che compongono le basi saliamo un ulteriore gradino della piramide. I primi tre gradini erano la punteggiatura e le analisi basilari dei costrutti e della struttura semplice. Analizzare un periodo invece vuol dire separare le varie proposizioni che lo costituiscono utilizzando gli elementi appresi dai punti precedenti. L’analisi permette di riconoscere e dividere le proposizioni per tipologia dividendole in proposizioni principali (frasi indipendenti dal punto di vista grammaticale), coordinate (proposizioni posizionabili ad uno stesso piano sintattico) e subordinate (proposizioni dipendenti da altre).
    Niente panico   Prendere confidenza con questo tipo di analisi comporta un livello superiore di scrittura e la comprensione più ampia del discorso e dei suoi significati. Comporre un discorso coerente e fluido evitando di incalzare e confondere il lettore con mille coordinate e/o subordinate. Connettere le frasi in modo sensato e giustificato. Evitare periodi troppo lunghi e i concetti che degenerano. Tutto questo è sintomo di una padronanza linguistica che può davvero fare la differenza tra un testo “carino, ma che due palle” e un testo “grandioso, l’ho letto in una notte”.

  • 3.4 Discordanze verbali:
  • Campionato mondiale di freccett… declinazione verbale per scrittori.
    If you know what I mean.

       Molte volte trovo che nei testi, i verbi vengono inseriti più per assonanza o bellezza che per un’attenta riflessione sul loro utilizzo. Da questo punto di vista anche le coniugazioni verbali sono utilizzate un po’ alla “come viene, viene”. Uno degli errori più comuni è l’utilizzo del presente mischiato al passato, un altro, più sottile, è mischiare diverse coniugazioni e tempi in modo errato. L’inesattezza ha luogo soprattutto per via delle scorrettezze che proliferano nella lingua parlata, come i modi di dire e la sostituzione del presente al condizionale.
       Eppure lo sbaglio rimane l’alternanza tra tempo narrativo e imperfetto. Nella maggior parte dei casi, cioè nelle più comuni narrazioni al passato, il passato remoto si alterna all’imperfetto. L’errore sta nella poca conoscenza dell’imperfetto e del suo corretto utilizzo. Più in generale è la poca conoscenza dell’ampia gamma di colori che compone la coniugazione verbale a far emergere questo tipo di problema. Per un rapido ripasso sull’utilizzo delle forme verbali in modo semplice, possiamo prendere in considerazione questo link: http://web.tiscali.it/controra/usotempi.htm.


       La cosa davvero importante è quindi determinare il tempo in cui si svolge l’azione della frase in maniera assoluta (all’interno della temporaneità totale), rispetto all’azione della principale in caso di subordinate o coordinate, rispetto al paragrafo, al capitolo e all’arco della storia. Un azione può svolgersi in contemporanea, prima o dopo un’altra; può durare un istante o protrarsi nel tempo. La concordanza dei tempi nella lingua italiana corrisponde a grandi linee alla consecutio temporum latina e corrisponde a quel bacino di regole da seguire al fine di fissare i tempi e i modi dei verbi all’interno del periodo. Usiamoli quindi con cognizione di causa.

  • 3.5 Forma attiva vs forma passiva:
  • Utilizzare una forma attiva permette una recezione cognitiva delle informazioni superiore e quindi uno stimolo cerebrale più coinvolgente.

    Il mistero misterioso della misteriosa forma passiva del verbo misterioso.
       Gli scrittori utilizzano la forma passiva nella maggior parte dei casi. Tuttavia la forma passiva viene utilizzata in alcuni passaggi senza che ce ne si accorga. Proprio come nelle due frasi precedenti, se avete colto. Ma cosa sono la forma attiva e quella passiva? E quella transitiva? E come devono essere utilizzate?
       Anzitutto facciamo un passo indietro. Nella grammatica la diatesi di un verbo è la forma della coniugazione verbale, cioè la disposizione/adeguamento del verbo che si sottopone al significante della frase. La diatesi quindi spiega come il soggetto partecipa all’evento descritto dal verbo.
       Il rapporto tra il soggetto e l’evento indicato dal verbo può presentarsi in tre modi:

    • forma attiva del verbo, quando il soggetto è attore o promotore dell’evento, quindi quando è lui stesso che porta avanti l’azione;
    • forma passiva, quando il soggetto è paziente, cioè subisce l’azione verbale;
    • forma media o transitiva, quando il soggetto è attore e paziente al tempo stesso, o perché compie consapevolmente un’azione su se stesso o perché l’evento insorge e produce i suoi effetti sul soggetto;

       La forma passiva aiuta a veicolare l’attenzione del lettore sulle procedure e sui risultati dello studio piuttosto che sugli esecutori; inoltre permette all’autore di mantenere una posizione obiettiva e critica rispetto al proprio lavoro. Questo per il tono accademico e autorevole che caratterizza la forma passiva e che permette anche all’Autore alle prime armi di dare al proprio articolo un ché di distinto.

  • 3.6 Sviste:
  • Sopporto di buon grado gli errori di battitura e le sviste. Molte diventano momento di ilarità gratuita che alleggerisce la lettura e permettono anche una grassa risata. Non sopporto invece quando si ripetono in continuazione, come se con il testo ti ci fossi pulito il culo prima di farmelo leggere. Specie quando sono testi stampati da case editrici.

    Leggere gli esordienti mi crea sempre un certo panico.

       Io faccio un sacco di errori e ogni volta che rileggo ne trovo di nuovi, quindi ho una correttrice di bozze che fa il lavoro sporco, il più delle volte inveendo (Hai scritto “inveendo” con tre “e” ~ La Correttrice di Bozze) contro internet, la connessione, il software di wordpress o il suo computer perché non fanno quello che lei vorrebbe (Non mi obbediscono! 🙁 ~ Sempre La CdB♥). Ma questo è un altro discorso.
       Nonostante tutto questo, anche leggendo i miei articoli troverete degli errori. Eh va be’ capita, non sono un uomo perfetto (Però sei carino! Ok me ne vado.). La cosa che meno sopporto però e quando trovo uno, due, a volte addirittura tre/quattro errori per pagina. E per pagina intendo formato A5. Questo non solo mette in ridicolo la casa editrice, ma soprattutto l’autore quindi: non fidatevi delle case editrici piccole, ma perdonatele perché non sanno quello che fanno.
       Altra cosa che più di tutte mi irrita, il più delle volte nei manoscritti non pubblicati da valutare, sono i doppi spazi. Non so come la gente riesca a sopportarli, forse non li vede nemmeno. Io li vedo, sono giganteschi, voragini grandi quanto il Grand Canyon, fratture nel testo profonde quanto la Fossa delle Marianne, impossibili da non notare. Ogni volta sono una pugnalata al cuore che mi fa agonizzare per diversi minuti. Quindi se editate un pezzo, tagliate, incollate, aggiungete o altro, ricordatevi che lo spazio non è una cosa da puntigliosi, ma un carattere tipografico come gli altri e anzi, forse il più importante. Trattatelo col rispetto dovuto.

Continua…
Questo post farà da riferimento globale. Il listone verrà aggiornato ogni volta che scriverò un miniarticolo per un nuovo punto dell’elenco.

3 commenti su “Le cose che mi sconvolgono di uno scribacchino”

  1. Ho letto l’articolo e mi trovo in gran parte d’accordo con ciò che scrivi, ma mi permetto di obiettare, più per amore di completezza e ragionamento, che per senso di opposizione, chiaramente, che gli stereotipi che enuclei alla fine non sono poi così moderni, tutt’altro.

    Sono non solo e non soltanto stereotipi, ma “tipi collaudati” che funzionano dall’antichità. Lo schema narrativo di Propp è a sua volta spesso applicato, pur con le dovute varianti.
    Ci sono dei punti cardine irrinunciabili. Lì dove una volta c’erano gli dei dell’olimpo, oggi ci sono i supereroi, ma tutto risponde sempre all’esigenza antropologica del mito, che va ben oltre la qualità narrativa del testo.

    Il tuo discorso semmai tende inevitabilmente a un settore prettamente artistico. Definire bene un personaggio, e dico bene, significa fare letteratura, più che narrativa.

    Poi sono d’accordo con te riguardo la pochezza di idee e la banalità, ma questi fattori derivano certo a loro volta da:

    1. una società dei consumi che divora senza discernere
    2. una quantità di storie che si preferisce alla qualità di storie

    Ottimo articolo comunque 😉

    Seguimi anche sul mio blog http://vongolemerluzzi.wordpress.com/

    1. come potrei non trovarmi d’accordo con te, Mariano? L’approfondimento sugli stereotipi richiederebbe un intero libro e non era il mio scopo. Tratterò dell’argomento, per quanto si possa riuscire, in un articolo a parte a cui sto lavorando. Gli stereotipi che ho elencato sono quelli più riconoscibili ed evidenti, e non sono gli unici, nella produzione letteraria, e non solo, degli ultimi anni. Questi sono, in modo inevitabile, evoluzioni della tragedia greca, del deus ex machina sulla carrucola, del teatro delle maschere e via dicendo. Diciamo che sto cercando di sintetizzare il più possibile per non andare troppo lungo.

  2. Resto in trepidante attesa dell’articolo sulle Mary Sue! Volevo fare anch’io un’osservazione intellligente, peraltro, ma come anche a te a un certo punto “a-wim o-weh a-wim o-weh” e poi ho perso il filo del discorso…

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