LA SETTIMA FACCIA: CAPITOLO SECONDO 1. SPIA

LA SETTIMA FACCIA_CAPITOLO SECONDO_1. SPIA

Arturo Devoti sonnecchiava, o perlomeno tentava di farlo.
Chiuso fra le quattro mura di quella stanza di pochi metri quadrati che era il suo ufficio, sfogliava ‘Lo straccetto’, una rivista osé mascherata da “mensile di informazione maschile definitiva”. Aveva da poco finito di leggere la sua copia fresca di edicola de “Il sole 24 ore” che ormai faceva da suppellettile in bella vista e ora si dedicava a qualcosa di più leggero condendo il tutto con mastodontici sbadigli.
L’ufficio era spoglio se non per poche cose. Una foto incorniciata era appesa alla parete vicino all’ingresso e lo ritraeva, un tempo più giovane e in forma, che stringeva la mano a un uomo anziano, con una folta barba che copriva il doppio mento.
Sedeva sbracato su una sedia logora poggiando i piedi su un’anonima colonna che sembrava progettata alla giusta altezza per lo scopo. In realtà, la sua funzione non era così banale, ma di vitale importanza: la colonna era proprio il motivo per cui Arturo doveva stare in quella stanza.
Quel pomeriggio non era attento, forse per l’abitudine alla noia o forse per via del fatto che quando ci si fossilizza su una routine, tutto diventa automatico e privo di senso. Così quando la spia rossa sul quadrante cominciò a lampeggiare, non se ne accorse. Le sue gambe coprivano parte del pannello di controllo sovrastante la colonna e la sua attenzione era tutta rivolta all’articolo in quinta pagina che parlava della vita privata di una delle tante soubrette dello show business spazzatura che passavano in tv. O forse era meglio dire che la cosa interessante era il primo piano del seno e la foto a tutta pagina della brunetta in posa.
Il led lampeggiò la sua luce per parecchio senza essere considerato. Poi suonò il telefono.
Arturo si dimenò sulla seggiola cercando di prendere il cellulare dalla tasca dei jeans senza doversi alzare. Fece cigolare le rotelle e scricchiolare l’intera struttura della seggiola che reggeva il sedile imbottito sembrando un pesce appena pescato. Il quotidiano salmonato cadde, ma Arturo non se ne accorse. Poggiò la rivista in grembo e infilò due dita nella tasca con grande sforzo pur di non muoversi dalla sua posizione. Frugò alla ricerca del cellulare, lo trovò, gli sfuggì, lo agguantò di nuovo con la punta delle dita e imprecò in equilibrio precario. Lo estrasse a fatica e lesse il display: Leti. Premette il tasto verde e rispose:
«Ciao amore, tutto bene?»
«Ha chiamato mia madre» aveva la voce acidula di un chicco d’uva ottobrino. Sembrava eccitata e allo stesso tempo all’erta, pronta a colpire su questioni spinose. «Vuole sapere se pranzeremo da lei domenica?…»
Arturo fece una smorfia; a volte non riusciva a capire se Letizia facesse delle domande, forse solo retoriche, come se stesse impartendo degli ordini impliciti, o se fossero normali affermazioni. La rivista scivolò e cascò a terra raggiungendo il giornale. «Sì, sì, come vuoi.» si affrettò a risponderle in modo vago.
«Bene, bene. Devo avvisarla subito così potremo organizzare tutte le portate. E poi dovremo pensare ai centrotavola, e i fiori. Oh sì certo, i fiori. Sarà un ‘ottimo banchetto, verranno anche i Piritone. Che persone deliziose. Oh, ma dovresti sentire cosa mi ha detto poi mia madre, pensa siamo state al telefono fino a ora.»
Arturo guardò l’orologio e rise sotto i baffi. Erano le 11 e mezza. «Se ti conosco bene come ti conosco sarete state al telefono almeno tre ore.»
«Sì sì, certo caro. Comunque il Gianni, quello che usciva con la Valentina, la figlia del fornaio, è uscito di testa ieri sera. Reno era al bar, quello sul viale alberato dove va sempre zia Lucia a mettere al lotto…»
Arturo allontanò la cornetta scocciato. La voce lontana e acuta della moglie continuava a trillare dal cellulare. Si guardò intorno e vide che le riviste giacevano a terra. Cercò di penzolare senza scomodarsi e senza cadere a terra, con il cellulare in una mano tesa per mantenere l’equilibrio. Si sbracciò un paio di volte nel tentativo di agguantare almeno uno dei due giornali accartocciandosi sulla sedia, ma non ci riuscì e dovette arrendersi. Guardò il soffitto sconsolato e sbuffò, la voce della moglie vibrava ancora dagli altoparlanti del telefono.
Pensò qualche istante, incerto sul da farsi, ma alla fine decise di abbandonare la comoda posizione. Si chinò a terra e rimase bloccato con la mano allungata sopra i suoi passatempi. Era rimasto interdetto. Forse era solo un’allucinazione, pensò tra sé, ma mentre si abbassava gli era sembrato di aver visto di sfuggita una lucetta lampeggiare. Era impossibile, tutto frutto della fantasia. Ripercorse mentalmente i 32 lunghi anni di lavoro passati a sonnecchiare in quell’ufficio polveroso e ignorato da tutti. Le pause caffè accompagnate dalle pacche scherzose dei colleghi, le battutine taglienti sul fatto che loro se lo guadagnavano per davvero il loro stipendio, mentre lui era un raccomandato fancazzista. Tutti sorridenti e tutti scherzosi, ma a lui non interessava, lui prendeva il suo lavoro con serietà e senso di responsabilità. Non gli interessava il parere dei colleghi, tendenzioso o meno che fosse. Il suo compito era di sorvegliare quella lucetta e assicurarsi che tutto fosse come doveva essere.
Ma ora era lì. Non voleva controllare, ormai era talmente abituato alla routine e alla tranquillità che sembrava tutto così fuori luogo. Non voleva che qualcuno o qualcosa rovinasse quella monotonia a cui si era assuefatto. Rimase a fissare la copertina del giornale leggendo i titoletti riportati in grandi caratteri senza capirli.
Doveva fare qualcosa, ma cosa? Certo rialzarsi avrebbe potuto significare un’irruzione prepotente nella sua vita. E se si fosse immaginato tutto? Stava ancora ragionando sulle possibilità quando la schiena, sottoposta tutti i giorni allo stressante lavoro di sostenerlo nelle sue pennichelle sul lavoro, lo riportò alla realtà con una fitta di dolore.
Arturo guizzò in piedi inveendo e quando riaprì gli occhi si ritrovò a guardare il piccolo quadro di comandi sopra la colonna: un semplice led che ora lampeggiava e un grosso pulsante rosso dalla base gialla.
Si lascò cadere a peso morto sulla sedia mentre il panico lo assaliva. Si disse che non lo avrebbe considerato, avrebbe fatto finta di nulla e continuato col suo lavoro. Si diede dello stupido: come poteva evitare quel led, come si sarebbe giustificato se qualcuno si fosse accorto che lampeggiava mentre lui se ne stava tutto il giorno a leggere? Gli balenò in testa l’idea di insabbiare comunque tutto; nessuno era mai entrato in quell’ufficio a parte lui quindi nessuno avrebbe visto la piccola lucetta rossa. E se qualcuno fosse entrato per sbaglio o se avesse semplicemente sbirciato mentre lui entrava o usciva? Doveva trovare una coperta e coprire la colonna. No, si disse, non poteva funzionare, non andava.
Prese un grosso sospiro e rielaborò la situazione. Non c’erano vie di scampo, doveva fare quel che andava fatto. Si alzò in piedi e si accorse in quel momento che sua moglie era ancora al telefono.
«-azzuffati, così Pietro e il pugliese lo hanno preso e-»
«Scusa amore ma devo andare.» disse alla moglie troncando la conversazione. Poi aggiunse: «Questioni di lavoro.» come se fosse importante sottolinearlo in quel frangente per ricordarsi chi era e cosa doveva fare.
Riagganciò senza aspettare la reazione di Letizia, si rimise il cellulare in tasca e osservò il rosso intenso dell’interruttore a pressione. Trasse ancora una volta un lungo respiro. Era certo che si sarebbe ricordato a lungo di questo momento, qualunque cosa fosse successa dopo.
Alzò la mano in un gesto lento e schiacciò il pulsante con tutta la forza che aveva e la paura che non avrebbe funzionato. In fondo chi poteva dirlo, quell’impianto aveva qualcosa come una settantina di anni. Per quel che ne sapeva lui avrebbe anche potuto essere un meccanismo finto considerando che, con ogni probabilità, quella tecnologia non poteva esistere quando fu costruito.
La sirena che ululò nel corridoio però, gli diede conferma che tutto funzionava alla perfezione.

Chi è Arturo, dove lavora e soprattutto per chi lavora? A cosa serve quella misteriosa luce rossa, e il pulsante? Cosa succederà ora e cosa ne sarà della vita di Arturo?

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