LA SETTIMA FACCIA: CAPITOLO PRIMO 1. IL DADO

LA SETTIMA FACCIA_CAPITOLO PRIMO_1. IL DADO

Pietro strinse nel pugno il dado a sei facce. Seduta a capotavola, Marina lo squadrò e attese qualche istante. Poi lo incalzò: «Allora? Che fai, ti decidi?» Chiuse il libro e tenne il segno con l’indice tra le pagine. «Non possiamo starcene qui ad aspettare tutta sera.»
«Uff» sbuffò. Rigirò il dado nel palmo della mano facendolo rotolare con il pollice. Il cubetto di silicio dai bordi smussati rifletté di rimando tutte le sfumature dorate delle sue venature. Pietro alzò lo sguardo sui suoi compagni seduti intorno al tavolo della taverna. C’era un caos indicibile: fogli scribacchiati, dadi, carte, bottiglie di birra vuote e piene, pacchetti di patatine abbandonati e miniature di personaggi. «E va bene, va bene. Come volete. Ma non dite che non vi avevo avvertito.»
«Oh, smettila di fare lo stronzo!» lo punzecchiò Alan accigliato dal lato opposto. Ingurgitò un lungo sorso dalla sua bottiglia di birra e ruttò. «Se il solito cagasotto.»
«Fottiti.»
«Cagasotto. La prossima volta ti lascio crepare quando sei nella merda. Altro che pararti il culo e lasciarti quella verga che abbiamo trovato». Così dicendo Alan finì di scolarsi l’ultimo sorso di birra, si alzò picchiando la bottiglia sul tavolo e continuò additando Pietro minaccioso: «Ora fammi il piacere di renderti utile e provare il potere dell’asta se non vuoi che ordini al mio personaggio di suonartele di brut-»
«Ehi Al,» lo interruppe Sara, seduta accanto a lui, prendendolo per un braccio. «smettila di rompere. Ha capito.»
Samuele sgranocchiò una patatina nel silenzio e continuò a guardare la scena con aria pacata. Seduto accanto a Pietro era rimasto in silenzio per tutta la sera, anche se la bocca non era mai stata ferma, impegnata com’era a trangugiare cibo.
«Pietro,» Marina si era alzata cercando di attirare l’attenzione di tutti. Si sporse appoggiandosi senza curarsi troppo dei libri impilati alla rinfusa e delle cartacce scarabocchiate che ricoprivano il tavolo. «diamoci una mossa. Io domani devo alzarmi presto per andare al lavoro.»
Pietro si guardò intorno e li fissò uno a uno. «D’accordo» si decise finalmente a dire. «Uso il potere divinatorio.»
«Era ora!» esultò Alan ricadendo di peso sulla sua sedia. Prese una sigaretta dal pacchetto e si frugò le tasche alla ricerca dell’accendino. «Vedi di sculare e trovare qualcosa di interessante. E fai in fretta che ho voglia di fumare. Almeno finiamo e sbaracchiamo.»
«Tieni». Marina aveva mischiato un mazzo di carte sul cui dorso si leggeva la scritta “Divinazioni” e lo stava porgendo a Pietro.
Lui prese la prima e lesse a voce alta: «Dau al Set: Fattore Proibitivo – tenta il tutto per tutto. Tira un dado a sei facce…» Pietro smise di leggere e calò il silenzio. Tutti lo guardarono curiosi.
«Allora?» volle sapere Sara. «Che c’è? Si può sapere cosa c’è scritto?». Guardò gli altri scuotendo la testa.
Pietro riprese: «C’è scritto: Tira un dado a sei facce: (7) l’universo come voi lo conoscete scomparirà». Si grattò la testa incredulo. «Ma-»
«Impossibile.» dichiarò Marina incredula.
«Stronzate» gli fece eco Alan. «La smetti di dire stronzate? Certo che stasera sei proprio strano.»
«No, no. C’è proprio scritto così.» protestò Pietro spazientito. «Anche io non ci credevo ma dice: “(7) l’universo come voi lo conoscete scomparirà”. Ma è impossibile che esca sette con un dado a sei facce! Dev’essere un errore di stampa.»
«Sì, probabile.» disse Marina concordando con la teoria di Pietro. «Dev’essere una carta nuova del pacchetto che ho aperto oggi pomeriggio.»
I ragazzi si scambiarono sguardi d’intesa e cenni di consenso. Perfino Samuele sembrò essere concorde mentre sgranocchiava le ultime patatine rimaste nel sacchetto.
«Tira, così almeno vado a fumare.» disse allora Alan. «Tanto che te ne frega? Non potrà mai uscire sette. Quella carta magia è una merda, figurati se potevi pescare qualcosa di interessante o di utile per il gruppo. Sempre lì a fare i tuoi giochetti del cavolo, le tue magie inutili, mentre noi ci spacchiamo il culo in battaglia…»
Pietro fece spallucce e strinse il suo dado portafortuna nel palmo della mano. Liberò un angolo della tavola, scosse il dado nel pugno chiuso e lo lanciò. Il piccolo cubo di silicio pressofuso si staccò dalla mano di Pietro, compì una serie di brevi saltelli contro la superficie del tavolo con dei leggeri “Tap Ta-tap” e si mise a girare come una trottola sul suo asse verticale.
Girò. E ancora.
I ragazzi stavano già mettendo a posto quello che potevano, ma tenevano d’occhio il dado, aspettando che si fermasse. Alan era l’unico che non prestasse molta attenzione, più intento invece a prendere un’altra birra dal cartone e pronto a scattare in piedi per uscire a fumare.
Il dado continuò a girare, ebbe un sussulto e la rotazione sbilanciò il suo asse facendolo vorticare come un vecchio ubriaco a fine venerdì sera. L’andatura rallentò, l’asse di rivoluzione ondeggiò e il dado caracollò sbattendo contro la scatola del gioco in scatola. Tutti fissarono increduli il risultato.
Samuele si bloccò con una patatina sulle labbra e accennò uno sguardo perplesso. Marina si portò una mano alla bocca e sussultò. Alan lasciò cadere l’accendino e mise una mano sulla spalla di Sara, la quale spalancò la bocca e disse: «Porca puttana, non ci posso credere!»
Pietro rimase immobile a fissare il risultato senza riuscire a capire. La faccia del dado, contro ogni previsione possibile, riportava una cifra: un 7 di colore giallo canarino solcato nella scura superficie plastica.

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