African Survivor Show [Racconto]

La sigla di apertura dello spettacolo sembra un carosello tipico dell’era del Medioevo Economico, intorno al ventesimo secolo, nonostante quel periodo sia lontano nel tempo.
   La visuale si illumina di colori scintillanti con corone di fiori e stelle filanti che cadono accompagnati da un jingle cantato a cappella che fa tanto Fab Four. Rullo di tamburi. L’immagine stilizzata a forma di L capovolta, tipica del continente africano, fa la sua comparsa circondata da una profusione di stelle.
   Una voce fuori onda annuncia: «In diretta, dall’anfiteatro 8 dei Robostudio,» fa una pausa con la musica crescente per aumentare la suspense. «il reality show che vi terrà inchiodati allo schermo!» proclama a gran voce. La musica sale di tonalità. «Il programma che avreste sempre voluto! Pensavate di aver visto tutto? Vi sbagliate! Vi sconvolgerà, vi farà emozionare, sfiderà le vostre più fervide fantasie. Per la prima volta sul grande schermo…» ormai la voce urla, supportata dalla musica a tutto volume. «African! Survivor! Shooow!». Il titolo del programma a lettere colossali buca lo schermo forando l’Africa al centro come un foglio di carta umida. La musica e la voce lasciano spazio a uno scroscio di applausi tanto perfetti sa sembrare finti. «Presentaaa Giulio Giuliani.»
   La grafica sfuma per lasciare spazio al mezzobusto del presentatore che saluta sorridendo in posa plastica. Indossa un completo con i colori tipici della rete, giacca bianca su pantalone verde, illuminato da piccoli led. Somiglia a un albero di natale innevato, un volto umano al posto del puntale con la stella cometa. L’uomo ha un aspetto giovanile, ma all’occhio di un osservatore più attento sono evidenti gli interventi di innesti DNA auto rigenerante. Così come si notano i capelli ricostruiti, lunghi spaghetti neri pettinati all’indietro. A dispetto del grande sorriso stampato sulla bocca, gli occhi sono spenti e galleggiano nelle orbite, lo sguardo è stanco e inespressivo.
   Lo studio di trasmissione è un cristallo di luce incastonato nella mattina di Natale, sempre per restare in tema; grandi spazi, ampie scale che alzano dal pavimento luccicante come ghiaccio, decorazioni che scintillano e contrastano con colori sgargianti. Sullo sfondo ci sono due file di ballerine tutt’altro che caste, segno che i tempi della censura sono ormai superati.
   L’anchorman fa segno con un gesto al pubblico di placare gli animi: i fischi si spengono, gli applausi si smorzano e con gli ultimi battimani cala anche la musica.
   «Ciao Stuuupendi!» ringhia quasi rivolto alle telecamere. «Grazie, grazie, siete stuuupendi! Questa sera…» cerca di dire sfidando il rumoreggiare del pubblico che sale nuovamente. «Questa sera belli miei assisterete a uno spettacolo che tramortirà i vostri piccoli encefali. Quindici concorrenti selezionati che avranno l’opportunità di gareggiare in una serie di prove per sfidarsi e tentare di vincere il premio finale: 5 bilioni di euro e la cittadinanza della Confederazione Europea!»
   Il pubblico esplode nello studio, eccitato dalle premesse.
   «E questa sera, ad accompagnarmi nella conduzione dell’evento televisivo più incredibile mai visto, ci sarà la bellissima e abbagliante venere latino-americana, incoronata cinque volte Principessa del Regime; direttamente dalla capitale della Confederazione Sudamericana, Nuova San Paolo, l’unica e sola, Angelica!». Con uno slancio teatrale allarga le mani e indica uno spazio tra le scale che si apre lasciando entrare il corpo sodo e attraente della soubrette. Due gambe slanciate saettano sotto i fronzoli della gonna che copre giusto una fascia inguinale mentre la donna si avvicina all’inquadratura. Il resto del vestito è una seconda pelle aderente e sensuale che risalta le sinuosità. I lunghi capelli castani svolazzano nella brezza ricreata artificialmente nello studio. La pelle color del caramello riluce sotto la luce dei riflettori dello studio che non lasciano spazio alle ombre.
   L’inquadratura cade sul presentatore che osserva sbavando senza ritegno l’avvenente ragazza.
   «Grasie, grasie Jhiulio e grasie tutti voi per vostro calor». Abbozza un sorriso con le labbra tanto carnose quanto innaturali. «Io soy molto, molto felisc di essere qui.»
   «Ahhh An-ge-li-ca!» incalza il presentatore scandendo le parole. «Avete sentito come parla bene la nostra lingua?»
   Il pubblico risponde con un applauso insaporito da urla animalesche e fischi.
   «Che stuuupenda bomba sexy!» inarca le sopracciglia. «Ma veniamo a noi.» prosegue Giuliani. «Questa sera, come vi ho anticipato, daremo l’opportunità a una di quelle bestie analfabete selezionate di diventare una persona normale del moderno continente civilizzato. Siete pronti a scoprire da dove provengono?». Il pubblico in risposta si esalta e rumoreggia. Giuliani ne approfitta per smanacciare a palmo teso, come se volesse colpire l’aria con una mossa di karate. «In diretta crono-satellitare dalla parte bassa del Vecchio Continente, direttamente dal ventesimo secolo, il nostro inviato speciale, il surfista dei cavalloni temporali, l’unico e solo Ivan D. Istante.»
   L’immagine cambia mostrando un giovane dalla mascella squadrata e occhi di un azzurro intenso che sfonda lo schermo. Indossa una tenuta cachi simile alle divise vintage da caccia grossa in stile safari. Sembra un po’ a disagio in quell’uniforme.
«Buongiorno,» parla nel picofono, una macchiolina appena visibile appuntata sotto la giugulare. «o perlomeno qui è giorno. Forse dovrei dirvi buonasera.» L’audio non è dei migliori, probabilmente causato dall’effetto doppler-quantistico e dalle tipiche distorsioni eco-fossa nelle trasmissioni intertemporali. «Buonasera Giulio e Buonasera a tutti quelli che ci stanno seguendo.»
   «Ciao vecchio gonzo, dove ti hanno buttato?»
   «Dietro di me potete vedere l’antico lago Kivu. Mi trovo infatti nell’ex stato Africano del Ruanda, un po’ il fulcro di quella che fu la regione dei Grandi Laghi.»
   Alle sue spalle si intravede la piatta distesa del lago, uno scampolo di seta scuro ritagliato tra le verdi pendici collinari. Il sole è già alto in cielo e la sua luce intensa illumina le vallate. Ma non l’acqua. L’acqua sembra chiudersi in sé, ricacciare i raggi solari fuori dalla sua tana, è un animale adagiato nel bacino: la sua pelliccia rasa è striata da alcune venature più chiare che vicino alla costa assumono un color ruggine. Il vivace smeraldo delle foreste che tappezza i versanti dei rilievi circostanti ravviva la zona e rende meno spietate le lugubri acque.
   «In che anno ti trovi, Ivan?» chiede Giuliani dallo studio. Nell’angolo in alto a destra compare l’immagine ristretta con il presentatore.
   «Il lago…» comincia l’inviato, ma si interrompe. La domanda riecheggia in sottofondo nell’eco della differita, ritardata di alcuni secondi.
   «Sì Giulio. Mi trovo nell’anno 2015, un bel po’ indietro rispetto a voi. Infatti potete notare la differita della trasmissione. Più precisamente oggi qui è martedì primo settembre.»
   «Stuuupendo!» gli fa eco Giuliani dall’angolo dello schermo. «Ricordo ai telespettatori che questo reality durerà trenta giorni esatti. Quindi non solo uno dei concorrenti potrà unirsi alla Confederazione Europea, forte del suo premio in denaro, ma avrà la possibilità di salvarsi. Ivan, puoi dirci di più a riguardo?»
   L’inviato ha lo sguardo abbassato, sta ascoltando la crono-trasmissione audio. Annuisce a tratti concordando su ciò che viene detto, si blocca. «Sì sì, certo. Come stavo dicendo prima il lago Kivu era piuttosto famoso in questi anni. Si tratta di uno dei tre laghi africani saturi di anidride carbonica, con delle vere e proprie sacche presenti in profondità che rendono questi specchi d’acqua unici al mondo! Infatti la loro caratteristica crea le condizioni per il verificarsi del fenomeno chiamato meromissi.»
   Il presentatore cerca di interromperlo. «Ivan. Ivan senti…»
   L’inviato continua nel suo monologo. Sembra entusiasta di poter sfoggiare la sua preparazione, impettito come uno scolaretto che ripete la lezione. «Il lago Kivu, come gli altri laghi simili, ha difatti una stratificazione delle acque, una netta divisione tra superficie e fondali che…». Si blocca, ascolta e annuisce «Sì, dimmi pure.»
   «Ottima presentazione Ivan. Ma vieni al sodo, facci capire bello. Qual è la vera opportunità di salvezza?»
   «Sì Giulio. Dai dati degli archivi cronologici sappiamo che la popolazione che abita nelle circostanze verrà spazzata via esattamente il primo ottobre di quest’anno a causa della riemersione improvvisa di una delle bolle di anidride carbonica. In pratica si ripeterà il disastro già avvenuto 21 agosto 1986 sul lago Nyos, fratello di questo lago con cui condivide le stesse caratteristiche morfologiche.»
   «Ohhh, che peccato.» ironizza il presentatore catalizzando l’attenzione del pubblico. «Una vera tragedia. Ma non trovate che siamo proprio delle brave persone?»
   La domanda retorica è presa con entusiasmo dal pubblico che esplode in un tripudio di consenso.
   «Perché noi di CronoTv vi offriamo solo il meglio. Abbiamo strappato il benestare dell’Associazione per la Continuum Tempore per offrirvi il miglior spettacolo di sempre. Uno show stuuupendo, solo per voi! Ivan, presentaci i concorrenti.»
   «Sì Giulio.» l’inquadratura cambia e segue l’uomo mentre si muove in quello scenario bucolico d’altri tempi. Le riprese vanno su uno spiazzo erboso dove un gruppo di uomini, donne e bambini dalla pelle color ebano giacciono incatenati, circondati dai loro carcerieri armati dei più moderni fucili d’assalto. «Eccoli qui i nostri fortunati.» dice l’inviato. Indica le persone mentre percorre il sentiero che scende lungo il live pendio che lo separa dal resto del gruppo. «Naturalmente non sanno nulla di quello che li attenderà da qui a un mese. Morte certa per loro, le leggi imposte dall’ACT sono chiare. Ma per un favorito dalla sorte, questa sarà la salvezza. Una vita migliore.»
   «Che cuore, che cuore! Come siamo generosi» lo interrompe Giuliani dallo studio. Il tono della sua voce risulta distante e falso, ma probabilmente sa che allo spettatore medio, poco interessa. «Sono emozionato io per loro.»
«La prima prova di oggi sarà semplice. E sarà il pubblico, come sempre, a decidere. Vi presenteremo tutti i partecipanti e saranno gli spettatori a esprimere la loro preferenza.»
   «Avete sentito? Non è grandioso? Che fortuna sfacciata questi musi neri, non sanno neanche loro che grandiosa opportunità gli stiamo offrendo!». Il sorriso impresso sul volto di Giuliani farebbe invidia a quello di un assicuratore intento a proporti una delle sue polizze sulla vita, ma il pubblico gradisce.
   Intanto sulle rive del lago vengono urlati alcuni ordini e le guardie fanno alzare tutti, li allineano tenendoli sotto tiro.
   «Ora la regia visualizzerà tutti i nomi e i volti.» annuncia Ivan.
   In risposta le immagini dei due uomini scompaiono. Al loro posto compaiono quattro file ordinate di volti con l’emblema della rete tv nell’angolo in basso. Le foto sono accompagnate da nomi, tutti vuoti, privi di significato. Quelle persone sono tutti fantasmi viventi che galleggiano sull’ologramma della loro lapide. Facce contrite, occhi incavati con le iridi che emergono dal bianco spento delle pupille. Nessuno sorride. Nei loro volti si intuisce lo sforzo di apparire, qualcuno si cerca anche di dissimulare, ma il risultato è deprimente. Se si va oltre l’apparenza appare lampante il senso di oppressione, l’ingiustizia della loro condizione, come se non bastasse essere nato nero in una terra dalle poche prospettive. Sono uomini e donne qualunque, ma ci sono anche ragazzi e bambini. Sei uomini, sei donne, una coppia di ragazzini, maschio e femmina, probabilmente adolescenti. E c’è una bambinetta. Avrà sì e no sei, sette anni in quella foto, ha il labbro inferiore tagliato nella parte destra. Labbro leporino, uno sfregio che ci si porta dietro fin dalla nascita. Ma i suoi occhi sono i più sereni, non vi si legge la stanchezza degli altri, forse per la giovane età, forse per la voglia di vivere, di rimanere aggrappata con tutte le forze a qualcosa che non è possibile lasciare andare perché non si è ancora finito di capire.
   In sottofondo si sente la voce di Giuliani che incita il pubblico. «Votate signori, votate! Sarete voi a decidere di queste bestie primordiali. E ora torniamo in studio e lasciamo il nostro Ivan al suo passato.»
   L’immagine torna sullo studio dove c’è Giuliani in compagnia di Angelica, sempre sorridente e beata. Una carrellata del pubblico mostra visi eccitati, doppi menti in fermentazione, mani paffute che si agitano a prendere i telecomandi, dita grassocce che premono i tasti. La vita di quegli uomini, quei poveracci, come li ha definiti il presentatore, è in mano a loro, queste caricature di esseri umani. Uomini e donne tondi come palloncini pieni d’elio e paonazzi come se dovessero esplodere da un momento all’altro. Se ne stanno sdraiati sulle comode poltrone degli spalti, riforniti di leccornie e bevande per mantenere il loro status e fissano con occhi porcini il palco.
   «Intanto che aspettiamo la vostra decisione diamo la parola al nostro opinionista. Direttamente da New York, un grande critico, giornalista di fama internazionale, filosofo, fondatore della Culto della Redenzione Binaria Finale, l’eclettico e controverso scrittore di “Fottiti a due bit”, uno dei libri più venduti della storia. È qui con noi questa sera: Androide 797!»
   Uno spilungone dalle sembianze umane entra con movenze pacate. Il suo abbigliamento è minimalista e disinteressato; indossa un pullover nero dal taglio attillato, pantaloni semplici e scarpe in tinta. Potrebbe essere scambiato per un uomo qualunque se non fosse per il netto taglio sanguigno che parte a lato degli occhi e taglia in due metà il cranio rasato. È il segno evidente della sua appartenenza alla specie degli Artificiali.
   Si muove sinuoso, con passo felpato, parco. Abbozza appena un saluto con la mano muovendola in un unico avanti e indietro deciso, senza cambiare espressione. La folla lo adora, sono tutti in piedi per lui. Tra il pubblico ci sono pochi altri Artificiali, ma tutti perdono la ragione quando 797 li saluta. Il culto della Redenzione Binaria Finale sta andando alla grande e raccoglie sempre più fedeli soprattutto provenienti da altre religioni. Il malcontento è uno spettro che aleggia sempre più visibile tra gli adepti delle religioni: troppe imposizioni, troppi divieti, ben pochi benefici. E i seguaci del Binario accolgono a braccia aperte tutti gli insoddisfatti.
   L’androide si avvicina a Giuliani che porge la mano. Lui la fissa con interesse compiendo gli ultimi passi, forse attendendo che le sottoreti neurali prendano una decisione. Non salutare il presentatore sarebbe una forma di scortesia, d’altra parte sarebbe anche una presa di posizione che consoliderebbe la sua posizione. Stringere la mano però porterebbe ad altri vantaggi come un caloroso benvenuto, una riaffermazione tra il pubblico, una migliore propensione del presentatore nei suoi confronti. Naturalmente nulla di tutto questo si vede. Alla fine 797 si avvicina e stringe la mano senza troppo vigore al presentatore.
   «Stuuupendo signori. Che serata! Che onore!»
   «Buonasera» è la sola risposta di Androide 797. La sua voce non è sintetica, ma armoniosa. Il timbro risulta comunque strano, come uno strumento scordato all’orecchio di un non intenditore; inconsciamente sente che qualcosa non va, ma non riesce a coglierne il motivo. Il pubblico si scatena ancora per qualche istante, poi l’entusiasmo viene smorzato.
   «Bene, accomodiamoci pure nel nostro salottino». I tre si fanno strada sulla sinistra dove due poltrone di pelle bianca e un torreggiante sgabello li attendono. L’Artificiale si accomoda su una poltrona mentre Giuliani si siede in quella di fronte, spalleggiato dalla valletta che usa lo sgabello per mostrare le vertiginose gambe sorrette da tacchi altrettanto vertiginosi.
   «Eccoci qui. Questa sera Androide 797-»
   «797, prego. O anche A. 797»
   «Oh sì, sì, mi scusi. Questa sera 797 è venuto qui per offrirci un po’ del suo tempo. Più tardi avremo occasione di parlare anche del suo ultimo libro intitolato “101010”, mi corregga se sbaglio.»
   «Corretto.»
   «Un titolo che riguarda la numerologia attorno al numero 42, quindi davvero interessante. Ma ora veniamo a noi. Abbiamo dato il via ufficialmente al nostro show svelando i concorrenti e coinvolgendo il pubblico che è già chiamato a fare delle scelte. 797, non so se lei abbia già avuto modo di vedere la schermata riassuntiva. Prego la regia di visualizzarla nel caso». La visuale viene tagliata in due e sulla sinistra vengono riproposti i volti dei quindici già mostrati in precedenza. «Eccoli qui.» riprende Giuliani. Si rivolge a 797. «Mi chiedevo se si fosse già fatto una prima idea riguardo a loro, o anche solo uno di loro. Magari qualcuno che l’ha colpita.»
   La domanda rimane sospesa per qualche istante mentre l’androide fissa in modo apatico il nulla davanti a sé. Poi sembra riprendersi, alza lo sguardo e parla al pubblico. «Il Bit ci ha dato le sole due scelte vere e assolute: sfidarsi o morire. Sta a loro decidere». Riabbassa gli occhi a terra e si segna a lato della fronte come seguendo una linea ondulata nel tipico rituale della Redenzione Binaria.
   Il pubblico è ancora una volta in delirio nonostante la sentenza definita espressa attraverso quelle parole criptiche di morte.
   «Stuuupendo!» gracchia Giuliani. «Riacchiappiamo la linea con Ivan dalla terra dell’anno 2015». Il collegamento viene ripristinato. Uomini, donne e bambini sono ancora impauriti e tenuti sotto tiro. «Ivan, Ivan ci sei? Pronto per la sentenza?»
   L’inviato riappare nell’inquadratura. In quella una donna che veniva tenuta a forza da due degli uomini al centro del gruppo si libera dalla stretta e cerca di correre via. Il suo scatto è fulmineo mentre zigzaga tra gli altri. Raggiunge i carcerieri e si getta a testa bassa tra due di loro. La guardia ruota il calcio del fucile in un movimento così fluido che il gesto viene appena registrato. La donna si alza in volo con uno spruzzo di sangue che disegna un cerchio nell’aria, la schiena inarcata e la testa all’indietro, le mani che annaspano nell’aria. Il viso è contratto in una smorfia di dolore e stupore.
   L’istante sembra eterno e il tempo pare fermarsi in quel fotogramma di terrore e crudeltà. Poi la donna ricade a terra sbattendo la testa con un suono secco e tremendo, come di una pietra contro un cocco maturo.
   «Ivan, cosa succede?» chiede con finto stuporeGiuliani dallo studio. Il suo tono è composto, ma autoritario, come se la sua fosse una domanda retorica di un ufficiale che riprende un sottoposto. Probabilmente è solo un modo per riempire il silenzio, un tentativo di riprendere in mano la situazione dopo lo shock di quella ribellione.
   «Niente Giulio, niente.» minimizza Ivan. Urla qualche ordine alle guardie che si schierano in formazione. Al di fuori dell’inquadratura si sente rumoreggiare, altri ordini urlati. Alcuni agenti si avvicinano al corpo inerme e la donna viene sollevata di peso e rigettata nel gruppo come se si trattasse di un sacco di patate. Il corpo atterra vicino a una coppia che si stringe in un abbraccio. Non reagiscono, sono bloccati dal panico.
   «Sono cose che succedono Giulio, il bello della diretta!»
   «Bene, ottimo. Veniamo a noi! Dobbiamo annunciare i risultati delle preferenze. Il pubblico ha votato e il suo voto è legge. Ora stileremo la classifica di gradimento e sapete cosa succederà? Questa sera, qui davanti a voi e in diretta dal lago Kivu avverrà la prima eliminazione. Il concorrente che avrà ricevuto meno preferenze e si troverà quindi in fondo all’indice delle preferenze verrà terminato.»
   Un compiaciuto Ohhh si solleva dal pubblico in studio.
   «Non vedete l’ora, vero?»
   Risatine isteriche e gorgheggi animaleschi accompagnano l’affermazione.
   «Bene! Stuuupendo!» urla Giuliani. Il suo volto è illuminato da un sorriso che trabocca soddisfazione. «Angelica, ti prego di portarmi i risultati.»
   La soubrette abbassa il capo e sgambetta fino al limitare della visuale. Tutti sul palcoscenico attendono il suo ritorno che non si fa attendere. Porge una tavoletta trasparente al presentatore e torna a mostrare l’interezza delle sue grazie straripanti.
   «Ecco, ci siamo.» declama Giuliani. «Sono felice di annunciarvi…» scandisce bene le frasi, utilizzando con maestria le pause per incrementare la tensione. «Che questa sera…». Tutti pendono dalle sue labbra. «Il primo eliminato…». Nessuno fiata, si può quasi sentire il silenzio dei fiati trattenuti. «Dell’ Afrincan… Survivor… Show…». Giuliani alza lo sguardo affilato sul pubblico. «È…»
   A questo punto l’audience sarà alle stelle; numeri da capogiro per i teatranti della rete televisiva. Nessuno fiata nell’eccitazione di quel momento cruciale.
   L’anchorman preme un angolo della tavoletta e legge il nome. «Abahutu.»
   Il faccino innocente dell’unica bimba appare in tutta la visuale. Il pubblico è in delirio, scalpita, freme, batte i piedi, urla, sputa verso l’immagine della bambina. Qualcuno addirittura strilla: «Uccidetela!». Sembrano tutti sovraeccitati e fuori da ogni controllo.
   «Stuuupendo!». La voce di Giuliani sovrasta tutti. «A te Ivan, vai con l’esecuzione!»
   L’inviato ordina qualcosa ai soldati, mentre nello studio si è scatenato il finimondo.
   Soldati si avvicinano al gruppetto di uomini e donne. Molti si schivano, evitano il contatto, lo sguardo. Hanno paura. Si legge solo disperazione sui loro volti. Qualcuno si ribella e viene prontamente schiacciato con la forza.
   Prendono la bambina.
   Il suo sguardo è curioso, ancora ingenuo e inconsapevole. Forse non sa ancora.
   Gli uomini la trascinano in disparte senza che lei faccia resistenza. Loro si allontanano e le riprese vanno al suo volto. I lineamenti delicati della fanciullezza, spezzati solo da quella crepa sulle labbra, un fiore nelle pieghe dell’asfalto. Sorride la piccola. Un sorriso sincero. Si sente al centro dell’attenzione, importante. Anche nei suoi enormi occhi marroni è dipinta la gioia a grandi pennellate.
   I soldati si dispongono in una fila perfetta a distanza di tiro.
   Una stretta mi lacera il cuore. Una bambina così piccola travolta dal giogo degli eventi, nel bel mezzo del ciclone che avanza. E se ne sta lì impalata, sorridente di fronte alla morte.
   Quello che sembra il capo della squadriglia sbraita degli ordini che non si riescono a cogliere. I soldati imbracciano le armi. Puntano, mirano a quell’esile corpicino. La scena è straziante ma in sottofondo il pubblico dello studio rumoreggia eccitato.
Qualcuno li fermi! Urlo a squarciagola dentro di me. Fermateli! Vi prego, fermateli!
   Prego. Prego perché qualcuno intervenga e ponga fine a tutto quanto. Prego nonostante abbia abbandonato la speranza. Fermatevi! Dio ti prego, fermali!
   Alzano i fucili. Le canne di perliglass riflettono il sole. Artigli di zanne che puntano la preda.
   Sparano.
   I colpi partono con un rumore sordo di sassi che cadono in una pozza.
   Il sorriso le si piega.
   Il corpo dilaniato dagli impatti.
   La bocca tremola.
   Cade sulle ginocchia con un tonfo. Si piega come una bambola senza vita.
   Spengo il maxivisore e le immagini olografiche si affievoliscono. Sento gli occhi gonfi. Rabbia e frustrazione. Piango senza ritegno, singhiozzando. Mi vergogno io per loro. Non ce la faccio, non lo sopporto. Non riesco a guardare mia sorella mentre muore. Avrò rivisto la registrazione almeno un migliaio di volte, forse molte di più. L’olodisck sarà talmente consumato dal laser della lente di lettura che non so come faccia ad essere ancora riproducibile. Eppure è sempre lì, come una droga di cui ho bisogno, una dose di cui non posso fare a meno.
   Io, proprio io. Io che ho vinto quello stupido stramaledetto show. Io che mi sono salvato, ma che forse, in fin dei conti, non avrei voluto.
   Le lacrime calde mi sfiorano la guancia. Il cuore si stringe sempre più mentre il respiro si fa corto in gola.
   La salvezza. Eccola qui la mia salvezza, la promessa di una vita migliore fatta da questa “società” di altezzosi. Che schifo, mi viene il vomito!
   Soffoco il ribrezzo e deglutisco a fatica.
   La cittadinanza della Confederazione Europea, una nuova opportunità, la chiamavano. Quale animale farebbe questo ai suoi simili?
   La pagheranno. Il mio monito, la mia salvezza, il ricordo di quello che è successo è sempre lì, scolpito nella mia memoria e su quel disco.
   Per non dimenticare.


African Survivor Show è stato pubblicato nel 2013 nella raccolta “Un Mattone per GUA”, una delle mie più grandi soddisfazioni. Il progetto aveva il proposito di realizzare un libro contenente una raccolta di racconti inediti, i cui proventi delle vendite sono stati devoluti in beneficenza. Il tema dei racconti era strettamente correlato all’associazione a cui destinare i ricavati delle vendite: Gua Africa, una charity fondata dal musicista Emmanuel Jal che dedica la sua vita a promuovere la risoluzione dei conflitti in corso in Africa. In particolar modo l’associazione opera nel Sud del Sudan dove è nato il suo fondatore, togliendo dalla strada e soprattutto dalle mani della guerra, tutti i bambini coinvolti loro malgrado nei genocidi ancora oggi in atto. Sito di riferimento dei Gua Africa: www.gua-africa.org. La mia partecipazione al progetto è stata a tutto tondo: ideatore, promotore, giudice, editor e partecipante, il tutto supportato da un magnifico team di persone.

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La nuova versione che avete letto in questo articolo è stata rivisitata ed editata con l’aiuto di Libby Ryan, che ringrazio profondamente dal cuore.